La ‘sovranità del limite’ per salvare il Pianeta

Diritto, economia, scienza e pensiero: il giudice costituzionale Marco D’Alberti ha tenuto una lezione sulla tutela ambientale per gli allievi e le allieve della Scuola Superiore di Catania

Mariano Campo (foto di Patrizia Strano)

Praticare la sovranità del limite, misurando comportamenti e stili di vita, solidali con gli altri e con la natura. Come propone il giurista francese Alain Supiot, professore al Collège de France, autore del volume La sovranità del limite. Giustizia, lavoro e ambiente nell’orizzonte della mondializzazione (Mimesis, 2020), anche il giudice costituzionale Marco D’Alberti, apprezzatissimo ospite di uno dei recenti “colloquia” della Scuola Superiore dell’Università di Catania, ha invitato gli allievi e le allieve della Scuola a «ripristinare il “limite» come principio necessario per garantire giustizia sociale e tutela ambientale in un’epoca di globalizzazione: «Soprattutto il vostro dovere è quello di rendere possibile la tenuta del Pianeta», ha affermato al termine di un lungo excursus articolato tra diritto e filosofia, tra scienza e letteratura.

La “sovranità del limite” come principio giuridico e politico capace di ripristinare un ordine sociale ed ecologico sostenibile, in contrapposizione all’onnipotenza della forza e alla logica neoliberista, è un’elaborazione abbastanza recente. Ma trova le sue radici, secondo D’Alberti - che è stato introdotto dal presidente Daniele Malfitana e dall’allievo Piersanti Di Stefano, incaricato di presentare le tappe fondamentali della sua carriera nelle istituzioni del Paese -, nel tema del rapporto tra l’uomo e la natura, già espresso nei classici greci e latini.

L’alto magistrato ha citato Esiodo e Virgilio, gli interrogativi di Leopardi su «come abitare un mondo snaturato», che denunciano l’alienazione moderna e la cesura tra l’uomo e la natura, fino alla sconvolgente descrizione della “Coketown” di Charles Dickens, che nel suo “Hard Times” ritrae alla perfezione un’immaginaria città industriale dell’epoca vittoriana, parlandone come di una ‘foresta di ciminiere’, grigia, inquinata e oppressiva.

Il presidente della Ssc Daniele Malfitana e giudice costituzionale Marco D’Alberti

Il presidente della Ssc Daniele Malfitana e il giudice costituzionale Marco D’Alberti

Un luogo dove la vita umana è sacrificata all’efficienza produttiva e al profitto economico, specchio di una società rigida e utilitaristica in cui i valori morali, affettivi e creativi vengono schiacciati dalla logica della razionalità e della meccanizzazione. Coketown, come le Manchester, Leeds, Birmingham o Newcastle di due secoli fa, è il simbolo di un progresso che dimentica l’uomo, la materializzazione delle forti preoccupazioni per le sorti della natura e dell’ambiente che cominciano a insorgere sin dalla fine del Settecento, rimanendo però sostanzialmente inascoltate fino a pochi decenni fa.

«Quegli scienziati che lanciavano allarmi erano considerati ‘esagerati’ – osserva D’Alberti -. Oggi è il World Economic Forum, nel Global Risks Report 2024, a ribadire che i cambiamenti climatici sono una delle minacce più gravi per la stabilità del pianeta nel prossimo decennio. Eventi meteorologici estremi, cambiamenti critici nei sistemi terrestri, perdita di biodiversità e collasso degli ecosistemi, scarsità di risorse naturali e inquinamento sono gli effetti che dobbiamo mettere in conto. L’imperativo è pertanto quello di procedere ad un'azione urgente e coordinata a livello globale, anche perché altrimenti si va incontro a perdite economiche globali, entro il 2050, pari a 12,5 trilioni di dollari e a oltre 14,5 milioni di morti».

Daniele Malfitana, Marco D'Alberti e Piersanti Distefano

Nella foto, da sinistra, Daniele Malfitana, Marco D'Alberti e Piersanti Di Stefano

La risposta ‘globale’ del Diritto

Passando in rassegna il contesto giuridico dall’universale al particolare, non si può non partire dall’Accordo di Parigi sul clima, firmato nel 2015 durante la COP 21. «Il diritto a tutti i livelli  – premette D’Alberti - sta cercando di fare molto per assicurare l’equilibrio tra la necessità economica e la tutela ambientale ed è certamente positivo che vi sia una manifesta continuità fra il diritto internazionale, le misure dell’Unione europea e quanto introdotto nella Costituzione italiana».

L’Accordo di Parigi è la prima seria risposta mondiale alla minaccia imposta dai cambiamenti climatici, ribadisce il giurista, professore emerito di Diritto amministrativo all’Università La Sapienza di Roma, già presidente del Consiglio superiore dei Beni culturali e ambientali e Consigliere giuridico del presidente del Consiglio Mario Draghi.

È un trattato internazionale vincolante che ha l’obiettivo di limitare il riscaldamento globale, ma la sua efficacia dipende dalla volontà e dall’azione concreta degli Stati firmatari. In merito alla mitigazione degli effetti dovuti all’aumento delle temperature, l’Accordo stabilisce di limitare l’aumento della temperatura media globale ben al di sotto dei 2°C rispetto ai livelli preindustriali e addirittura di perseguire quei global efforts che servirebbero a limitarlo a 1,5°C; riconoscendo che questo ridurrebbe significativamente i rischi e gli impatti dei cambiamenti climatici.

«In sostanza – osserva D’Alberti – vengono introdotte regole molto severe per la mitigazione degli effetti, vincoli che incidono non poco sulla libertà d’impresa, e al tempo stesso incentivi per ridurre le emissioni, prevedendo così simultaneamente obblighi e opportunità per soggetti pubblici e privati. L’Accordo riconosce inoltre che bisogna anche sapersi ‘adattare’ al cambiamento climatico, imparare a conviverci, proteggendo le popolazioni, i territori e i sistemi naturali più esposti. L’adattamento diventa quindi un pilastro fondamentale dell’azione climatica globale. Infine, si sottolinea con forza l’importanza della scienza: per affrontare efficacemente questa sfida bisogna ricorrere alle migliori conoscenze scientifiche disponibili e alle innovazioni tecnologiche per la transizione ecologica».

Marco D'Alberti e Daniele Malfitana

Il giudice costituzionale Marco D'Alberti e il presidente della Ssc Daniele Malfitana 

La ‘minaccia esistenziale’ e gli strumenti dell’Ue

Per fronteggiare la crisi, classificata adesso come «minaccia esistenziale», l’Unione europea ha varato nel 2021 il Regolamento nr. 1119, noto anche come European Climate Law, ed è uno degli atti legislativi centrali del Green Deal europeo. Esso stabilisce per la prima volta un obbligo giuridico vincolante per l’Unione: diventare climaticamente neutrale entro il 2050. In altre parole, il Vecchio Continente dovrà raggiungere il traguardo di emissioni zero di gas a effetto serra, con tappe intermedie fissate nel 2030 e nel 2040. Tutti i settori devono dare il proprio contributo al raggiungimento di questo obiettivo, stabilito per legge: energia, industria, trasporti, edilizia, agricoltura, dimostrando così che è possibile dissociare la crescita economica dal ricorso ai combustibili fossili.

Inoltre, vanno privilegiate le cosiddette Soluzioni basate sulla natura per il ripristino degli ecosistemi degradati in tutto il territorio dell’Unione, così come individuati dal Regolamento 1991 del 2024, la Nature Restoration Law: zone umide, habitat forestali, spazi verdi e coperture arboree nelle città, connettività dei fiumi. Anche qui gli obiettivi sono inequivocabilmente scanditi: entro il 2030, gli Stati membri devono ripristinare almeno il 30% degli habitat in cattive condizioni, con l'obiettivo di raggiungere il 60% entro il 2040 e il 90% entro il 2050.

Almeno tre i macro-vantaggi evidenti: il ripristino degli ecosistemi contribuisce a ‘sequestrare’ carbonio e a ridurre l'impatto delle catastrofi naturali. Migliorare la qualità dell'ambiente può ridurre i rischi per la salute umana, considerando che in Europa il 14% dei decessi è legato a fattori ambientali. Infine, ecosistemi sani supportano la biodiversità agricola e la resilienza delle colture, contribuendo alla sicurezza alimentare. «All’unisono con il diritto internazionale – ha ribadito il giudice D’Alberti – le recenti iniziative dell’Unione europea rappresentano un passo significativo delle istituzioni comunitarie, che privilegiano l'obiettivo di garantire un ambiente sano e resiliente per le generazioni future».

Il pubblico presente il sala

Il pubblico presente nella ex Cappella di Villa San Saverio

La Costituzione italiana e le ‘generazioni future’

L’ultima revisione degli articoli 9 e 41 della Costituzione italiana, approvata nel 2022, ha introdotto in modo esplicito la tutela dell’ambiente, della biodiversità e degli ecosistemi tra i principi fondamentali della Repubblica, segnando un cambiamento storico.

«La Repubblica – ricorda il giurista – è oggi chiamata a tutelare l’ambiente, la biodiversità e gli ecosistemi, anche nell’interesse delle future generazioni, insieme al paesaggio e al patrimonio storico e artistico della Nazione, già introdotti nel 1946. Si esplicita adesso un riferimento diretto alla sostenibilità intergenerazionale, dopo che già alcune sentenze precedenti della Consulta avevano aperto questa strada, superando le finalità strettamente naturalistiche o estetizzanti legate alla protezione del paesaggio».

«La tutela dell’ambiente – sottolinea D’Alberti – rientra dunque oggi tra i principi fondamentali della nostra Carta costituzionale, esattamente come quel ‘paesaggio’ che il latinista e politico siciliano Concetto Marchesi, deputato all’Assemblea Costituente e autorevole figura della cultura italiana del Novecento, definì monumento naturale”, testimonianza viva della storia, dell’identità e della civiltà della nazione, degna della stessa tutela riservata al patrimonio artistico e culturale».

La modifica dell’Articolo 41 prevede inoltre che l’attività economica non debba più svolgersi in contrasto con l’utilità sociale o in modo da recare danno alla sicurezza, alla libertà, alla dignità umana, alla salute e all’ambiente. «Anche questo è un enorme cambio di paradigma – rileva D’Alberti -: si introduce cioè un limite giuridico all’iniziativa economica privata e viene riconosciuto il ruolo dello Stato nell’indirizzare l’economia verso finalità ambientali, oltre che sociali. Ciò pone degli ulteriori e inediti problemi, ad esempio sulla compatibilità tra le pale eoliche, utili per produrre energia verde, e l’integrità del paesaggio che le ospita: per dirimere tali questioni, servirà a legislatori e magistrati equilibrio, bilanciamento, proporzionalità e ragionevolezza. Non possiamo pretendere, nel 2025, di conservare il paesaggio come al tempo dei pittori vedutisti settecenteschi, ma al tempo stesso non possiamo consentire che pale e tralicci si moltiplichino a dismisura».

In foto da sinistra Piersanti Distefano, Marco D'Alberti e Daniele Malfitana

Nella foto, da sinistra, Piersanti Distefano, Marco D'Alberti e Daniele Malfitana

Beni comuni, pubblici poteri e sovranità del limite

Ripercorrendo gli snodi principali di questa riflessione giuridica è emersa con chiarezza la necessità di un impegno deciso da parte dei pubblici poteri nella lotta alla crisi ambientale. Come ha sottolineato il giudice D’Alberti, lo Stato e le sue istituzioni devono promuovere azioni concrete di mitigazione e adattamento, garantire il rispetto delle regole – ma senza diventare eccessivamente invasivi nei confronti delle attività economiche – e sostenere la ricerca scientifica, che per sua natura è sempre “work in progress” e richiede condivisione e validazione internazionale.

Più volte, durante il seminario, è stato ripreso il concetto di “beni comuni” formulato da Stefano Rodotà: acqua, aria, patrimonio culturale, conoscenza e risorse naturali non appartengono soltanto allo Stato o a soggetti privati, ma a tutta la collettività, e vanno gestiti in modo da assicurare diritti fondamentali e un libero sviluppo della persona. Allo stesso tempo, rifacendosi al saggio di Giuliano Amato dal titolo Bentornato Stato, ma…, D’Alberti ha invitato a riconoscere che, dopo l’era neoliberista in cui lo Stato era visto soprattutto come un ostacolo, oggi esso può tornare a essere la soluzione alle grandi crisi, a patto di liberarsi delle rigidità burocratiche che ne hanno a lungo limitato l’efficacia e di inaugurare una nuova stagione di pianificazione lungimirante.

Sul fronte europeo, Nathalie Tocci ha lanciato un appello a considerare la “sfida verde” non come un costo, ma come un’opportunità: investimento in tecnologie pulite e rinnovabili significa non solo ridurre le emissioni, ma rilanciare l’economia, creare posti di lavoro e accompagnare la transizione con misure che tutelino le fasce sociali più vulnerabili. Per l’Unione, ormai segnata da crisi politiche e sociali come Brexit e i flussi migratori, questa potrebbe diventare la nuova missione, un “motore” globale capace di esportare innovazione, sostenere i Paesi in via di sviluppo e costruire alleanze strategiche per evitare che la rivoluzione climatica apra nuove fratture geopolitiche.

un momento dell'intervento di Marco D'Alberti

Un momento dell'intervento di Marco D'Alberti

Anche la cultura offre spunti preziosi: come mostra Giulio Ferroni in Natura vicina e lontana, dall’antica Grecia fino all’era dell’intelligenza artificiale sono molte le tradizioni umanistiche che hanno saputo mettere al centro la relazione tra l’uomo e il mondo naturale, invitando a una riflessione etica sul nostro ruolo e sulla responsabilità nei confronti delle generazioni future.

Tutte queste suggestioni convergono nel concetto di “sovranità del limite” elaborato dal francese Alain Supiot. In un’epoca di globalizzazione, è proprio il riconoscimento dei nostri confini – personali, sociali, ecologici – a costituire il fondamento di una convivenza giusta e sostenibile. Come riprendendo Simone Weil, Supiot ricorda che non è la forza bruta a regnare, ma la determinazione al rispetto dei confini: solo così individui e istituzioni possono evitare derive violente e catastrofiche.

Se uno Stato ancorato al mercato spinto da una logica “tutti contro tutti” alimenta disuguaglianze e degrado dell’ambiente, il diritto – inteso come insieme di regole chiare e vincolanti – diventa lo strumento per imporre freni alla deregulation. Interiorizzare il limite significa non restare né vittime di un tiranno né prigionieri delle brame infinite del mercato, ma riconquistare la propria autonomia e la propria dignità.

«Ciascuno di noi, e i giovani in particolare, deve dunque misurare i propri comportamenti, agire con solidarietà verso gli altri e verso la natura», ha concluso D’Alberti. «Solo così potremo consegnare alle future generazioni un pianeta ancora vivibile».

Il giudice costituzionale Marco D'Alberti insieme con gli allievi della Scuola superiore

Il giudice costituzionale Marco D'Alberti insieme con gli allievi della Scuola Superiore

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