La testimonianza tra psicologia e diritto

Nell'Auditorium dell’ex Chiesa della Purità si è tenuto il seminario nell'ambito del ciclo "Minorenni, famiglia, migranti: quali riforme per quale giustizia"

Martina Giuffrida

Nell'Auditorium dell’ex Chiesa della Purità “Enzo Zappalà”, nei giorni scorsi, si è tenuto il seminario dal titolo La testimonianza tra psicologia e diritto nell'ambito del ciclo "Minorenni, famiglia, migranti: quali riforme per quale giustizia".

Ad introdurre i lavori il prof. Santo Di Nuovo, emerito di Psicologia generale all’Università di Catania. Il docente ha ricordato come “la testimonianza rappresenti uno dei campi più significativi in cui la psicologia trova applicazione nel diritto, poiché la ricerca della verità giuridica si intreccia con i limiti percettivi ed emotivi della mente umana”. “Lo psicologo, oggi, valuta l’attendibilità del testimone analizzandone il linguaggio, la maturità affettiva, la possibile influenza di fattori suggestivi o di pressioni esterne che possono alterare la ricezione o la rielaborazione dell’evento”, ha aggiunto.

“È fondamentale - ha sottolineato Di Nuovo - considerare l’età del testimone, la natura dell’evento, soprattutto se traumatico, e il contesto in cui la testimonianza viene resa”.

Ad aprire le relazioni il prof. Giuseppe Sartori, emerito di Neuropsicologia forense dell’Università di Padova, che si è soffermato sul complesso tema del ricordo di fatti che possano rivelarsi confondibili, perché caratterizzati, ad esempio, da rutinarietà e, quindi, più difficilmente individuabili in una congerie di ricordi da parte chi debba rendere una dichiarazione anche a distanza di molto tempo dai fatti. Un contesto questo che rende estremamente difficoltoso per il giudice valutare la credibilità delle dichiarazioni rilasciate dal testimone, da analizzare come credibilità intrinseca ed estrinseca.

In foto i docenti Santo Di Nuovo e Vania Patanè

In foto i docenti Santo Di Nuovo e Vania Patanè

Successivamente Vania Patanè, ordinaria di Diritto processuale penale all’Università di Catania, ha approfondito la figura dell’imputato e la sua metamorfosi in testimone assistito, introducendo il tema delle dichiarazioni etero-incriminanti. “La testimonianza - ha spiegato -, è una delle prove “regine del processo penale”, poiché fornisce una conoscenza diretta dei fatti. Il testimone, soggetto esterno, è obbligato a dire la verità ed è perseguibile in caso di menzogna. L’imputato, invece, gode del diritto al silenzio: non può essere costretto a parlare e, se sceglie di farlo, sa che le sue dichiarazioni potranno essere usate contro di lui”.

“Quando però l’imputato rilascia dichiarazioni che chiamano in causa altre persone, le cosiddette dichiarazioni etero-incriminanti, egli perde la protezione del silenzio e diventa testimone assistito – ha aggiunto -. In tal caso è obbligato a dire la verità, anche se può rifiutarsi di rispondere su ciò che potrebbe autoincriminarlo. La riforma del 2001, la legge 63, ha chiarito questo passaggio, ma la figura rimane ambigua: il dichiarante, infatti, resta un testimone sospetto, le cui parole vanno verificate con prudenza”.

“In alcuni ordinamenti, l’imputato può testimoniare anche sul fatto proprio, ma lo farà solo se intende accreditare la propria innocenza – ha aggiunto la prof.ssa Patanè -. La libertà morale del dichiarante e il diritto di difesa impongano che nessuno possa essere costretto a rendere dichiarazioni auto-accusatorie: principio che tutela la presunzione di non colpevolezza e l’equilibrio del processo”.

La professoressa Antonietta Curci, ordinaria di Psicologia generale all’Università di Bari, ha poi affrontato il tema dell’ascolto delle persone vulnerabili, come minori e vittime di abusi. Nel suo intervento ha denunciato “una visione semplicistica dell’ascolto giudiziario, spesso ridotto a un esercizio di empatia, mentre esso richiede competenze tecniche e una preparazione specifica”.

“Troppa empatia, infatti, può distorcere la percezione, portando il giudicante a identificarsi con la vittima o con l’imputato”, ha aggiunto. Curci ha precisato la distinzione tra empatia affettiva, ovvero l’immedesimazione emotiva, ed empatia cognitiva, ovvero la comprensione razionale dell’altro, e ha avvertito che un eccesso in entrambi i casi può condurre a errori o a vere e proprie mistificazioni. Ha poi approfondito il “concetto di suggestionabilità”, distinguendo tra approccio individuale e situazionale.

I relatori intervenuti al seminario

I relatori intervenuti al seminario

“Ogni persona reagisce diversamente alle pressioni esterne, ma in certe circostanze anche un soggetto poco suggestionabile può essere influenzato”, ha aggiunto la docente Antonella Curci che ha illustrato le variabili di stima (legate alle caratteristiche del testimone, non controllabili dal sistema giudiziario) e le variabili di sistema (che riguardano invece le modalità di interrogatorio e i processi di riconoscimento, come i lineup simultanei o sequenziali).

“Tutto ciò dimostra che la formazione di chi ascolta è decisiva per evitare errori e distorsioni nella valutazione della testimonianza”, ha detto.

Il professor Angelo Zappulla, associato di Diritto processuale penale all’Università di Catania, ha affrontato il tema della paura del testimone, che rappresenta uno dei principali ostacoli all’emersione della verità, sollevando la questione della tutela dei dichiaranti in pericolo. “In particolare – ha detto nel suo intervento - la legge 45 del 2001 ha profondamente innovato la disciplina, estendendo le misure di protezione ai testimoni di giustizia, cittadini che collaborano con le autorità senza aver commesso reati, distinguendoli dai collaboratori o “pentiti”. Tali tutele comprendono misure di sicurezza, protezione economica e assistenza per chi rischia ritorsioni”.

Zappulla ha poi richiamato l’articolo 147-bis delle norme di attuazione del codice di procedura penale, che prevede la possibilità di esami a distanza per particolari categorie di soggetti da tutelare.

“A livello internazionale, inoltre, l’articolo 24 della Convenzione ONU contro la criminalità organizzata transnazionale, firmata a Palermo nel 2000, impone agli Stati di adottare misure di protezione efficaci per i testimoni, riconoscendo la paura come una delle principali cause di mancata collaborazione – ha spiegato -. E la necessità di un’adeguata tutela per il testimone è riconosciuta pura dalla Corte europea dei diritti dell’uomo e dal Tribunale penale internazionale”.

“L’articolo 497 del codice di procedura penale - ha aggiunto - prevede una particolare forma di tutela dichiarativa riservata esclusivamente a chi abbia svolto indagini sottocopertura, soggetti “preziosi” dei quali salvaguardare, più che l’incolumità, la funzione, ovvero la possibilità di un nuovo utilizzo investigativo”.

Il pubblico presente nell'auditorium

Alcuni presenti nell'auditorium

È, poi, intervenuto il Consigliere di Cassazione, dott. Angelo Costanzo, che ha affrontato gli aspetti epistemologici della testimonianza e ciò che inevitabilmente ne condiziona la valutazione, come, ad esempio, la credibilità soggettiva di chi fornisca la dichiarazione.

L’ultima relazione - dal titolo “L’avvocato e le prassi nell’acquisizione della prova testimoniale” - è stata affidata all’avvocato Vittorio Basile, vicepresidente della Camera penale di Catania.

Il tema è stato svolto dalla visuale dell’avvocato nella pratica quotidiana dello svolgimento del processo penale. “Di fatto, per quanto le interazioni fra il diritto e la psicologia siano estremamente ampie, si evidenzia una sorta di ingenuità nel diritto in relazione alle modalità di funzionamento della mente umana ed ai risultati raggiunti dalla psicologia”, ha spiegato l’avv. Basile.

“Anche nei settori di applicazione potenzialmente più importanti nel processo penale, certamente la testimonianza attraverso il contraddittorio in dibattimento è fra questi, emerge un approccio distante dalle conoscenze ormai raggiunte sul funzionamento della memoria”, ha aggiunto.

“In sostanza la ricerca di un’apparente maggiore efficienza nel processo penale ha imposto e sta imponendo una serie di prassi applicative che superano la reale possibilità di sondare la memoria del testimone alla ricerca di un contenuto effettivamente genuino attraverso il contraddittorio e che anzi sottraggono al dibattimento la reale formazione dell’oggetto delle testimonianze”, ha detto l’avv. Basile.

Ha concluso i lavori l’intervento del dott. Mattia Giangreco sull’eventuale possibilità di valutare le emozioni del testimone mediante intelligenza artificiale.

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