La tragedia come laboratorio della coscienza civile in scena

Continua il terzo ciclo de “I lunedì del classico”, nel sesto incontro sono intervenuti Emanuele Stolfi, Monica Centanni e Orazio Licandro

Chiara Schembra

La tragedia greca costituisce un ricchissimo laboratorio della coscienza civile, anche giuridica e politica, dell'Occidente con questioni sollevate allora con cui ancora oggi dobbiamo misurarci, come uomini e cittadini. Dal fondo cupo di violenza e terrore in cui si specchiano gli assetti istituzionali alla ricerca di criteri che definiscano la libertà e quindi la responsabilità dell'individuo. 

Dalla natura ambivalente del potere, sempre sul punto di degenerare in tirannide o di dar corpo all'incubo della guerra civile, alle irrisolte criticità della democrazia e dell'uso pubblico della parola, sino alla consapevolezza che le leggi vigenti in una comunità non esauriscono l'orizzonte normativo delle nostre azioni.

Sono i temi su cui si sono confrontati i docenti Emanuele Stolfi dell’Università di Siena, Monica Centanni e Orazio Licandro dell’Università di Catania nel corso del sesto appuntamento dal titolo La tragedia come laboratorio della coscienza civile greca. Un seminario a partire da "La giustizia in scena", Il Mulino 2020 nell’ambito del terzo ciclo de “I lunedì del classico”, promosso dai docenti Monica Centanni, Paolo B. Cipolla, Giovanna R. Giardina, Orazio Licandro e Daniele Malfitana.

Un seminario che ha preso spunto da La giustizia in scena: diritto e potere in Eschilo e Sofocle, il libro di Emanuele Stolfi, ordinario al Dipartimento di Giurisprudenza dell’Università di Siena dove insegna Storia del diritto romano, Diritti greci e Fondamenti romanistici del diritto europeo, e dirige il Dottorato in Diritto europeo e transnazionale.

«In Stolfi non manca, certamente, l’occhio dello storico che vede del buono anche in tempo di pandemia nel 2020 tanto da fargli scrivere un saggio dal titolo Come si racconta un’epidemia: Tucidide», ha spiegato il prof. Orazio Licandro in apertura dell’incontro nell’Aula 2 del Monastero dei Benedettini del Dipartimento di Scienze umanistiche.

Un momento dell'incontro

Un momento dell'incontro

«Nel libro La giustizia in scena: diritto e potere in Eschilo e Sofocle mi sono soffermato su Eschilo e Sofocle con i quali ci sono ancora questioni aperte perché loro pongono dei temi ai giuristi del tempo, rispetto a cui la tragedia non dà una risposta, ma aiuta a porsi delle domande – spiega Emanuele Stolfi -. Oggi è più difficile separare l’etica dalla morale. Possiamo chiederci quanto sia rimproverabile il comportamento di Clitemnestra. Credo che Eschilo ci dia una risposta dicendoci che non è stata Clitemnestra a uccidere Agamennone, bensì il genio vendicatore della stirpe degli Atridi. E perché oggi parleremo di laboratorio messo in scena? Perché il compito della tragedia è quello di portare davanti agli occhi degli spettatori delle vicende mitiche». 

«La tragedia è immedesimazione perché si parla di catarsi, ma anche estraniamento: il pubblico è chiamato a immedesimarsi – aggiunge -. I Persiani si immedesimano nei greci e i greci nei persiani. Più aumenta il peso della parola pubblica, più siamo in grado di esprimerci ma questo è anche doloso, l’aspetto tirannico della persuasione».

Sul punto è intervenuta la prof.ssa Monica Centanni, ordinaria di Lingua e letteratura greca all’Università di Catania, che in riferimento all’Antigone di Sofocle spiega come il «libro di Stolfi dia innumerevoli spunti».

«Antigone non è del tutto indifesa nei confronti della dittatura di Creonte, la tragedia cerca in tutti i modi di mediare e di farci credere questo, ma in verità nel conflitto tra Antigone e Creonte vi sono contrapposte due visioni etiche e politiche, tra la donna e la legge del tempo, tra la condizione femminile e l’uomo. Non è l’eroina buona per intenderci, una Giovanna d’Arco, ma è una giovane donna vittima, l'unica capace di sfidare il tiranno Creonte e le leggi della polis pur di dare sepoltura al suo amato fratello Polinice», ha aggiunto la studiosa del teatro antico, di storia della tradizione classica nella cultura artistica e letteraria, dall’antico al contemporaneo.

In foto da sinistra Orazio Licandro, Emanuele Stolfi e Monica Centanni

In foto da sinistra Orazio Licandro, Emanuele Stolfi e Monica Centanni

E Emanuele Stolfi aggiunge: «Antigone e la pluralità degli Antigoni è uno dei libri più belli mai stati scritti – racconta -. Ma ricordiamoci che Antigone non è l’unica figura femminile che si oppone al potere. Un punto focale da sottolineare è che Aristotele legge in maniera forzata l’Antigone: è una tragedia sul conflitto fra diritto e legge naturale. Cos’è il giusto secondo natura? Corrisponde a una specie di premonizione umana che fa riferimento all’Antigone. La netta sensazione è che il testo diventa più stridente, finiamo col normalizzare lo ius e la lex. Si è creato il partito di Creonte perché tutti parlavano di quello di Antigone». 

«La mia Grecia non è la Grecia apollinea, è invece barbarica, violenta - aggiunge -. Non c’entra con chi schierarsi: l’una non può esistere senza l’altra. La città si deve liberare tanto di Creonte, quanto di Antigone perché hanno entrambi torto».

«Un secondo punto da evidenziare è l’opposizione tra il decreto di Creonte e le leggi non scritte degli dèi – ha aggiunto il docente dell’Università di Siena -. Come si fa a sapere che quello di Creonte è un decreto non scritto? È chiaro che nel V secolo non si riusciva a distinguere il diritto dall’etica pertanto il conflitto su cui ruota l’Antigone è tra due ordini: il diritto e la legge allo stesso tempo».

«Alla fine è Tiresia che fa cedere Creonte: è colui che dichiaratamente non si pone come potere – aggiunge -. Antigone rispetta la legge che egli stessa si dà proprio come Aiace. Il fratello è insostituibile, mentre tutti gli altri sono sostituibili, possono essere uccisi».

A seguire la prof.ssa Monica Centanni ha ripreso l’Orestea, la tragedia di Eschilo evidenziando come «in un’unica storia incentrata nell’antica Grecia si racconta l'assassinio di Agamennone da parte della moglie Clitennestra, la vendetta del loro figlio Oreste che uccide la madre, la persecuzione del matricida da parte delle Erinni e la sua assoluzione finale ad opera del tribunale dell'Areopago».

«Un processo che vede le Erinni stesse come accusatrici, Apollo come difensore e Atena a presiedere la giuria e che alla fine termina con l'assoluzione di Oreste, grazie al voto favorevole di Atena», ha aggiunto la docente in chiusura di incontro.