L’arte contemporanea come ponte tra comunità, passato e ambiente

Cristina Costanzo ha presentato alla Fondazione Brodbeck il suo libro sulle opere d’arte pubblica realizzate a Gibellina Vecchia e Nuova

Gaetano Gigante (foto di Andrea Valisano – Fondazione Brodbeck)

Una catastrofe ha il potere di distruggere ogni certezza e ogni punto fermo. Ma forse è proprio in questi momenti di estrema crisi che l’essere umano ha la possibilità di creare qualcosa di nuovo, senza dimenticare il passato ma, anzi, coltivandone la memoria, al fine di costruire un futuro più giusto e vivibile per tutti. 

Un’occasione per riflettere su questi aspetti è stata la presentazione, nei locali della Fondazione Brodbeck a Catania, del libro Gibellina. Memoria e utopia. Un percorso d’arte ambientale di Cristina Costanzo, ricercatrice in Storia dell’arte contemporanea presso l’Università degli Studi di Palermo. 

In questo testo appare evidente come l’arte nella sua declinazione pubblica e ambientale possa inserirsi in un processo di mediazione tra memoria e aspettative per un futuro migliore. Il caso analizzato è quello di Gibellina, città tragicamente distrutta dal terremoto della valle del Belice del 1968. 

Negli anni successivi, per iniziativa dell’allora sindaco Ludovico Corrao, si decise di ricostruire la città a una ventina di chilometri di distanza e questa rinascita venne accompagnata dalla commissione di una serie d’opere d’arte ad artisti di rilevanza internazionale. Tra questi, è sicuramente atipico il caso di Burri, il quale si rifiutò di creare un’opera d’arte per Gibellina Nuova e si dedicò invece alla realizzazione, sui resti di Gibellina Vecchia, del Grande Cretto, un’opera d’arte con la quale l’artista ha declinato da un punto di vista ambientale una ricerca da lui intrapresa fin dagli anni Settanta attraverso la serie dei Cretti. L’ obiettivo dell’opera, dalle proporzioni immense, era quello di mantenere viva la memoria di Gibellina prima che questa venisse rasa al suolo dal terremoto.

La presentazione del libro è stata accompagnata dagli interventi dell’autrice, di Nadia Brodbeck, vicepresidente dell’omonima Fondazione, di Gianluca Collica, gallerista e direttore artistico della Fondazione Brodbeck e di Guido Nicolosi, professore associato in Sociologia dei processi culturali e comunicativi all’Università di Catania.

Carla Sutera Sardo, “Teatro di Pietro Consagra” (1984). Da: S/Paesaggi (2021)

“Teatro di Pietro Consagra” (1984) di Carla Sutera Sardo. Da: S/Paesaggi (2021)

Nel suo intervento, Guido Nicolosi ha sottolineato tre aspetti che lo hanno particolarmente affascinato riguardo al lavoro di Cristina Costanzo: «l’accento sul ruolo di un’arte pubblica, l’insistenza sul rapporto tra memoria e arte, il legame ambivalente tra memoria e utopia». 

Successivamente, l’autrice ha rintracciato le origini del libro, nato da ricerche portate avanti insieme all’archeologo Massimo Limoncelli, il cui scopo era inizialmente poter ricostruire le tracce di Gibellina Vecchia. 

L’obiettivo del volume, ha dichiarato Costanzo, è quello di essere uno strumento didattico utile sia a Gibellina, sia a chi si avvicina per la prima volta alla storia di questa città.

È d’obbligo sottolineare l’interesse e l’eterogeneità del pubblico che ha deciso di partecipare a questo incontro: ciò attesta l’attualità di temi come il rapporto tra arte e memoria, ma soprattutto un’idea sempre più diffusa dell’arte come strumento di comprensione delle problematiche della realtà che ci circonda.

Un momento della presentazione del libro

Un momento della presentazione del libro

Al fine di comprendere meglio le questioni sopra affrontate riportiamo l’intervista che ci è stata gentilmente concessa da Cristina Costanzo, ricercatrice in Storia dell’arte contemporanea all’Università di Palermo

Che cosa l’ha spinta a scrivere questo libro?

«Ho iniziato questa ricerca sul territorio di Gibellina a partire da un lavoro corale condiviso con l’archeologo Massimo Limoncelli, con il quale abbiamo lavorato sul tema della memoria e su come sia possibile ricostruire l’idea di Gibellina Vecchia – racconta -. La città porta con sé un rapporto con l’antico e con il contemporaneo che si riflette nella duplice dimensione di Gibellina Vecchia e Nuova. Successivamente, ho sviluppato questa ricerca a partire dall’idea che le opere nello spazio pubblico non fossero state valorizzate a sufficienza, dunque questo volume è un ibrido: c’è una prima parte orientata alla ricostruzione di fenomeni storico-artistici, che vanno soprattutto ricondotti all’arte ambientale, e una seconda parte dedicata alla schedatura delle opere degli artisti. Spero dunque che questo testo possa essere uno strumento didattico, un supporto concreto per chi si approccia a Gibellina per la prima volta».

Cosa cambia, oltre all’aumento in termini dimensionali, tra i Cretti degli anni Settanta e la declinazione ambientale di questa ricerca artistica?

«Lo sviluppo dei Cretti è interessantissimo e credo che, per comprenderlo appieno, si debba fare una triangolazione geografica tra il Grande Cretto Nero del Museo di Capodimonte a Napoli, il Cretto Nero realizzato per l’Università di Los Angeles e il Grande Cretto di Gibellina – continua l’autrice -. C’è sempre una componente importante che è legata alla site specificity, però ciò che va assolutamente rilevato è lo sguardo che l’artista pone all’ambiente e al nesso tra opera e ambiente, perché, nel frattempo, egli ha maturato una partecipazione al clima artistico statunitense californiano. Dunque, anche se può essere difficile ricostruire le vicende formali delle opere di Burri, i Cretti attestano il passaggio da una bidimensionalità a una tridimensionalità; e dunque un’apertura, uno slittamento, uno sconfinamento del Cretto dalla bidimensionalità di ciò che viene appeso al muro alla tridimensionalità di ciò che viene fruito in maniera più complessa nello spazio».

Iole Carollo, “Sacrario ai Caduti di Giuseppe Uncini” (1986). Da: Archeologia del futuro (2021)

“Sacrario ai Caduti di Giuseppe Uncini” (1986) di Iole Carollo. Da: Archeologia del futuro (2021)

A partire dal contributo di Burri e degli altri artisti contemporanei alla rinascita della città di Gibellina e considerando l’impegno di Ludovico Corrao nel coinvolgerli, quale può essere, secondo Lei, il valore sociale e politico dell’arte contemporanea?

«A Gibellina sicuramente l’arte contemporanea ha contribuito a ricostruire l’identità della città, è stata un’occasione di rinascita e di riscatto, e ha rappresentato una possibilità di connessione tra individui che hanno condiviso un trauma collettivo, cioè il terremoto che ha determinato morti, perdita di lavoro e di un luogo riconoscibile come casa – spiega Cristina Costanzo -. Di Gibellina Vecchia restano solo macerie e ruderi che vengono compattati da Burri nel Grande Cretto. Invece a Gibellina Nuova intervengono svariati artisti: molti di loro, come Nanda Vigo e Francesco Venezia, lavorano sul tema del rapporto con ciò che è stato distrutto, riportando nella città nuova dei nuclei architettonici che vengono dalla città vecchia; altri autori, invece, utilizzano il linguaggio dell’arte per creare nuove ritualità, per esempio piazze o interventi urbani».

Cosa ne pensa delle critiche rivolte da alcuni cittadini, giornalisti e studiosi all’opera di Burri, vista più come una maschera della città distrutta dal terremoto, anziché come un monumento in sua memoria?

«L’opera di Burri è di fondamentale importanza per l’arte del Novecento e costituisce un patrimonio straordinario per l’arte del nostro tempo e, nello specifico, per la Sicilia – precisa l’autrice -. È comprensibile che quest’opera e il progetto di Corrao abbiano ricevuto molte critiche: per decenni Gibellina è stata una città in progress, in divenire. Nonostante questo, Gibellina ha attirato l’interesse di artisti, studiosi, architetti, sociologi e, oltretutto, assume una posizione centrale nel dibattito su temi estremamente attuali come quello della memoria».