L'azione come veicolo

Al Centro universitario teatrale, nell’ambito del laboratorio diretto da Elio Gimbo, studenti e studentesse hanno presentato un percorso di studio sulle tecniche di pre-espressività di un attore

Alfio Russo
Un momento dello spettacolo
Un momento dello spettacolo
Un momento dello spettacolo

Una dimostrazione di lavoro di giovani attori e attrici. È quanto hanno presentato gli allievi e le allieve della prima edizione del laboratorio diretto da Elio Gimbo, supportato nell’iniziativa didattica da Sabrina Tellico e Bernardo Perrone di Fabbricateatro, da cui ha preso vita e forma la performance dal titolo L'azione come veicolo andata in scena al Centro Universitario Teatrale dell’ateneo catanese.

Uno spettacolo che è stato aperto da preziosi filmati originali tratti dall’archivio dell’Odin Teatret.

Una vera e propria introduzione alla ‘dimostrazione di lavoro’ degli allievi e allieve Nicoletta Basile, Aurora Strano, Leonardo Cappellani, Filippo Gravina, Nicole Somers Andolina, Roberta Puglisi, Francesco Rizzo, Daniela Liotta, Chiara Sabbatini e Salvo Pace che hanno mostrato una sintesi del lavoro svolto nel corso dell’anno sul training codificato tra il 1967-69 al Teatr Laboratorium di Jerzy Grotowski e il suo sviluppo successivo nel training codificato nel ‘72 dall’Odin Teatret diretto da Eugenio Barba.

Un ‘percorso’ che successivamente è proseguito con il montaggio di un’improvvisazione effettuata secondo il sistema compositivo dell’Odin Teatret. A chiusura una “improvvisazione creativa d’insieme” elaborata dagli stessi allievi.

Un momento dello spettacolo

Un momento dello spettacolo

«In quest’anno abbiamo trasferito delle tecniche di pre-espressività, ciò che all’attore serve prima di avviare la costruzione di un personaggio, tutto ciò che è preliminare – ci tiene a sottolineare Elio Gimbo -. Il senso del laboratorio, infatti, è la costruzione di una presenza scenica preliminare all’essere un attore. È una grande conquista tecnica per un giovane attore. È un concetto che ha una sua storia perché associato alla nascita e alla pratica di training teatrali, veri e propri allenamenti nati negli anni ’60-‘70 su questo tema e che sono diventati uno dei momenti più importanti del teatro contemporaneo».

Partendo dal lavoro condotto all’alba del ‘900 da Stanislavskij, poi ripreso e sviluppato, tra la fine degli anni ‘60 e i primi ’70, da Jerzy Grotowski ed Eugenio Barba, è stata data vita ad tradizione ancora oggi attiva di apprendimento teatrale preliminare alla recitazione vera e propria basata su un insieme di esercizi, codificati circa 60 anni fa, che permettono all’attore di elaborare un personale dominio sul proprio corpo, sulle azioni sceniche fisiche e vocali, sui meccanismi creativi che ad esse presiedono.

«Il teatro in quei due decenni si è avvicinato molto ad altre specialità come la danza e per questo da allora sono sorte diverse definizioni che ritengo incomplete come il teatro fisico o il teatro di sperimentazione ad esempio – ha aggiunto il regista catanese -. Si tratta di una vera e propria pedagogia nata in quegli anni sviluppando altre pedagogie già presenti, ma che negli anni ’60 e ’70 si sono codificate tramite questi training utili a costruire una presenza scenica completa e del personaggio stesso da parte di un attore».

La proiezione di un filmato sui training tetralei degli anni '60-'70

La proiezione di un filmato sui training teatrali degli anni '60-'70

«Non a caso non abbiamo preparato uno spettacolo, ma una dimostrazione di lavoro – spiega Elio Gimbo -. È un percorso sintetizzato che parte dall’origine, dalla presentazione di alcuni filmati realizzati allora. Gli spettatori si sono trovati dinanzi a esercizi che stanno alla base di questa pedagogia, ad una dimostrazione di lavoro che in 45 minuti riassume il passaggio che gli studenti hanno svolto incorporando le azioni del training e i primi tentativi di composizione per azione».

«Non si tratta, quindi, di uno spettacolo in cui gli studenti interpretano dei personaggi, bensì dimostrano di interpretare con un insieme di azioni fisiche e vocali dei temi abbastanza generici come una poesia o una frase e trasmettere così emozioni e significati con il movimento e l’espressione fisica, dando vita ad una relazione creativa fra chi interpreta e chi l’osserva», aggiunge il regista.

«In quegli anni gli inventori di questi training, due registi fondamentali per il teatro contemporaneo, Jerzy Grotowski ed Eugenio Barba, hanno “creato” degli attori che hanno composto degli spettacoli diventati delle leggende per quel tipo di attività teatrale – ha precisato Elio Gimbo -. Noi abbiamo la possibilità di poter vedere questi spettacoli perché furono registrati e, nel futuro del laboratorio, intravedo la possibilità di poter comporre uno di questi spettacoli leggendari. Vorrei, infatti, mettere in scena uno degli spettacoli del più grande maestro che in Europa coltivò questa possibilità, sganciandosi dalla precedente esperienza di Stanislavskij, facendone un punto di partenza ineliminabile per tutto il teatro europeo, ovvero Jerzy Grotowski, un regista polacco che in un piccolo paese della Polonia inaugurò negli anni ’60 questa pedagogia».

«Per me il futuro del laboratorio teatrale del Cut è quello di proporre un secondo modulo che possa compiere il passo successivo ovvero la composizione di uno spettacolo vero e proprio – ha aggiunto -. L’anno prossimo vorrei passare dal training alla composizione immaginando di poter lavorare con uno spirito documentale e quindi anche di ricerca. Quest’anno siamo partiti dai documenti in nostro possesso che ci hanno consentito di ricostruire questo passaggio che reputo ideale per il contesto universitario. Quindi lavorare su documenti storici con ricerche scientifiche basate sulle fonti».

Il regista catanese Elio Gimbo

Il regista catanese Elio Gimbo

Una passione per il teatro, dunque, che coinvolge le giovani generazioni. «Quando si è giovani abbiamo maggiormente la necessità di compiere delle esplorazioni di noi stessi – continua Elio Gimbo -. Negli anni ’60, ma anche prima, anche istintivamente e a maggior ragione in un contesto universitario, i giovani avevano, e hanno tuttora, la necessità di ritrovarsi in situazioni relazionali di gruppo. E il teatro ha questa facoltà: essere l’unica arte di relazione che ha bisogno della costruzione di una comunità. Il carattere primigenio delle relazioni è alla base del teatro, un ambito in cui oltre al processo di costruzione di una relazione con l’altro, si segue un percorso di relazione con noi stessi. Per questo è importante e ci tengo a immaginare un laboratorio in cui i giovani hanno imparato a conoscere le tecniche dell’attore».

In chiusura il regista ha evidenziato il ruolo dell’Università di Catania, tramite il Centro universitario teatrale, nella crescita del teatro tra i giovani. «L’Università di Catania ha dato questa possibilità importante ai giovani e da conoscitore di questo mondo posso assicurare che si tratta di azioni non proprio comuni nelle tradizionali fucine di apprendimento teatrale – ha spiegato il regista -. Occorre consapevolezza e conoscenza e di solito nei centri di pedagogia teatrale non si contemplano più questo tipo di percorsi. Sono molto grato, pertanto, al Centro universitario teatrale dell’Università di Catania, di aver dato questa possibilità agli studenti. È una possibilità che nell’ambito teatrale catanese non viene concessa».

Gli allievi e le allieve del laboratorio diretto da Elio Gimbo

Gli allievi e le allieve del laboratorio diretto da Elio Gimbo