Tra tradizione e sperimentazione, il quartetto pugliese ha inaugurato il viaggio musicale con l’album “Culla e Tempesta”, uno spettacolo che intreccia memoria, denuncia e poesia
La musica come viaggio, ponte e racconto. Con questa vocazione, nei giorni scorsi, l’Anfiteatro “Turi Ferro” di Gravina di Catania ha dato il via al Festival Internazionale di Musica – Due Siciliae. Una nuova avventura culturale firmata AreaSud in collaborazione con Darshan e guidata dai maestri Ketty Teriaca e Gianfranco Brundo, che sceglie di intrecciare i fili di due città simbolo – Napoli e Catania – per tessere un itinerario sonoro tra passato e futuro, tradizione e sperimentazione.
Il Festival si propone di riscoprire le radici comuni delle Due Sicilie per proiettarle nel presente. Il nome stesso del Festival, presentato dal presidente di AreaSud Maurizio Cuzzocrea, rimanda a un passato che si intende reinterpretare affinché diventi terreno fertile per nuove e ulteriori contaminazioni artistiche.
«Non siamo nostalgici borbonici – ha detto con ironia –, ma abbiamo a cuore le relazioni culturali e la capacità creativa che hanno sempre attraversato il Mediterraneo». Un concetto rilanciato dai direttori artistici, che hanno rimarcato la vocazione del Festival a creare una sinergia tra le tradizioni musicali del Mezzogiorno e le prospettive emergenti del panorama internazionale, con un calendario di appuntamenti che, da Gravina a Catania, passando per Siracusa e Messina, accompagnerà il pubblico fino al 1° novembre.

Un momento della presentazione del festival
In questo modo Gravina di Catania ha respirato aria di mare e di memoria. Al “Turi Ferro”, il pubblico ha accolto con calore Gabriella Schiavone, Teresa Vallarella, Maristella Schiavone e Loredana Savino. Assieme sono le Faraualla: gruppo pugliese il cui repertorio musicale da anni viaggia tra epoche e tradizioni lontane, facendo della voce un laboratorio inesauribile di ricerca.
Lo spettacolo proposto dalla formazione vocale ha tratto il titolo dal loro ultimo album, Culla e Tempesta, incentrato sulle fragilità di questo mondo – dal dissesto ambientale alla violenza sulle donne – affrontate nel corso del concerto.
L’evento si è snodato come un viaggio in cui registri e scenari suggestivi si sono intrecciati con naturalezza, conducendo il pubblico all’interno di fiabe storiche e luoghi naturalistici attraverso linguaggi onomatopeici.

Le Faraualla in concerto
L’apertura con Un, due e tre, Amen! ha delineato subito il carattere della loro performance: una reinvenzione e risemantizzazione ironica e potente della favola I musicanti di Brema, dei fratelli Grimm, trasposta dalle Faraualla nelle masserie pugliesi, là dove gli animali diventano simboli di metamorfosi costanti. Dal racconto popolare si è passati poi a Troglos, brano che mette a nudo la fragilità e la caducità della parola nell’era digitale, con i suoi codici frammentati e il suo continuo impoverirsi.
In un’alternanza di poesia e denuncia, di gioco e dramma, la processione della Desolata di Canosa, rito della Settimana Santa pugliese, si è trasformata in un canto universale contro i massacri di Gaza, in un lamento che si fa protesta.
Subito dopo, le formule segrete della medicina popolare femminile, custodite per secoli e tramandate come patrimonio nascosto, hanno ritrovato vita nelle armonie vocali del quartetto. Non sono mancate pagine di intensa attualità, come l’omaggio alle vittime di femminicidio, né momenti di sorprendente leggerezza: esilarante la versione ironica di In fondo al mar della Sirenetta Disney, capace di strappare sorrisi e complicità a un pubblico già profondamente coinvolto.

Un momento finale del concerto
Dal debutto avvenuto nel 1995, le Faraualla scelgono di impiegare la voce come mezzo universale, capace di attraversare i confini dei generi e delle epoche, e di unire passato e contemporaneità.
Il concerto si è chiuso con una sentita interpretazione di Bella ciao. Prima della conclusione, due persone del pubblico hanno donato al gruppo pugliese una bandiera palestinese: le quattro cantanti l’hanno accolta tra le mani, l’hanno innalzata, annodata ai microfoni, e insieme hanno intonato l’ultimo brano.
Si è trattato del momento più potente della serata, dato dal senso politico che la musica ha acquisito, consentendo di esprimere un unico e accorato grido collettivo che ha unito palco e platea.