Le relazioni familiari protagoniste di Magma Debut

Intervista ad Andrea Magnani, direttore artistico della rassegna competitiva per registi esordienti nel panorama internazionale in programma dall’11 al 15 luglio al Cut

Alessandro Di Costa

Il Centro Universitario Teatrale dell’ateneo catanese dall’11 al 15 luglio ospiterà “Magma Debut”, la rassegna competitiva per registi esordienti nel panorama internazionale. Cinque serate di film, organizzate dall’associazione culturale Scarti, che rientrano nella più ampia programmazione di Magma - Mostra di cinema breve, il festival dei cortometraggi di Acireale.

A presentare Magma Debut è il direttore artistico della rassegna, Andrea Magnani.

Per il secondo anno la sezione Magma Debut raccoglie le opere prime di cinque talentuosi registi. Quali sono i criteri che l'hanno spinta a scegliere i film in concorso?

«Il direttore non lavora in solitaria - spiega Andrea Magnani - dà un indirizzo, ma c’è un pool all’interno del festival che insieme a lui seleziona i film. Nella nostra scelta abbiamo cercato di mettere al centro le relazioni familiari, anche disfunzionali, che provengono da paesi, culture e religioni diverse. Un figlio racconta la storia di una famiglia tunisina che deve fare i conti con la perdita. In Ama c’è una madre, con una figlia piccola, costretta a cercare di sopravvivere contro le avversità. La timidezza delle chiome, unico film italiano in concorso, affronta il rapporto familiare dal punto di vista di due fratelli gemelli. Così come Nico, che parla dell’immigrazione iraniana a Berlino, descrive lo sradicamento e la perdita degli affetti in un paese straniero. Slightly Open Doors, infine, affronta la tematica della famiglia nella realtà della guerra del Donbass».

Dai rapporti familiari difficili alla paura del diverso, fino al sacrificio di sé stessi. C'è un filo rosso che collega tutti i film in concorso e che riflette il mondo in cui viviamo? Quanto il cinema è capace di raccontarlo?

«Penso che il cinema abbia una valenza incredibile nel raccontare il mondo - afferma il direttore artistico della rassegna -. È forse l’unica espressione artistica che permette di estraniarsi immediatamente dalla propria vita e di entrare in quella di altri. Ciò vale per il documentario, così come per il cinema di finzione. Quando si entra in sala, le luci si spengono, il proiettore si accende e dal buio appare un mondo diverso. Lo schermo, molto più di altre forme artistiche, riesce a veicolare messaggi forti e importanti che possono essere ascoltati. Credo che il cinema abbia il potere assoluto di coinvolgere e stupire, mostrando ai nostri occhi realtà di cui magari non conosciamo nulla. Quindi penso che il cinema possa ancora essere rivoluzionario, come una forma di resistenza al mondo che sta fuori, una resilienza alla vita di tutti i giorni. Un film mostra sempre nuovi punti di vista».

Un frame del film "Un figlio"

Un frame del film "Un figlio"

Uno spazio dedicato ai lungometraggi che nasce da un festival di cortometraggi: scelta coraggiosa, ma che si sta rivelando vincente. Quanto è importante l’incontro tra due forme così diverse?

«Sono molto diverse, eppure quasi consequenziali, direi inevitabili - spiega il produttore e sceneggiatore -. Il cortometraggio ha una vita autonoma, una sua grammatica e una propria funzione, ma spesso è fatto da autori che desiderano passare al racconto lungo. Sotto questo aspetto, Magma Debut collega corto e lungometraggio in quella che è forse l’unica dimensione possibile: l’esordio. A volte l’esordio è l’espressione più autentica di un autore, perché vi mette tutto quanto di più genuino abbia, anche sbagliando, ma possiamo essere certi che all’interno dell’opera ci sarà il suo mondo. Quasi tutti coloro che fanno cinema provengono dalla dimensione del cortometraggio, è come quando un fiume sfocia nel mare, a un certo punto vai a “nuotare con i pesci più grandi”. Dunque penso che l’esordio sia la forma di espressione cinematografica spesso più sincera». 

Questa edizione si terrà al Cut. Quale ruolo può avere il cinema, soprattutto quello d'autore, nella formazione di un pubblico di giovani e studenti?

«Il cinema è assolutamente importante per i giovani. Negli anni Sessanta c’erano produttori che facevano pellicole da cosiddetta “cassetta” per incassare facilmente con gli introiti produrre film come quelli di Antonioni, che incassavano meno, però erano forme d’espressione artistica. La distinzione tra le due tipologie non è così ferrea come si possa pensare» sottolinea il regista.

«C’è bisogno di tutto il cinema, di quello commerciale così come di quello autoriale, senza che si escludano a vicenda; perché il cinema d’essai aiuta a pensare, soprattutto i giovani, gli studenti - aggiunge -. Ha la funzione di aprire orizzonti nuovi, di illuminare sé stessi con delle esperienze che possono far scoprire cose di noi che prima non conoscevamo. Il cinema d’autore è una forma di espressione artistica con una valenza formativa, istituzionale, educativa, che è imprescindibile per comprendere anche il resto del cinema». 

Un frame del film "Ama"

Un frame del film "Ama"

Nella sua carriera di regista e sceneggiatore ha lavorato a serie tv e film per il grande schermo. Anche alla luce della rivoluzione delle piattaforme di streaming, qual è il rapporto tra i due media oggi? 

«Secondo me, in Italia, cinema e serialità dialogano ancora poco - spiega Andrea Magnani che ha esordito alla alla regia con Easy - Un viaggio facile facile nel 2017 -.  C’è una concezione della serie un po’ antiquata, nonostante alcuni tentativi di modernizzazione sulle nuove piattaforme. Il controllo dei network è ancora molto forte sulla linea editoriale, che invece dovrebbe essere campo esclusivo dello showrunner, solo così si riesce a dare alla serie un’impronta autoriale». 

«In generale, la serialità estera, per lo più statunitense, ha innovato i linguaggi con quella golden age che parte dai Sopranos (1999-2007) e che finisce idealmente con Succession (2018-2023) - aggiunge -. Sul rapporto fra i due, a livello generale, credo che non dipenda solo dal linguaggio, ma anche dalla modalità di fruizione e produzione. Quella seriale è sicuramente più impetuosa rispetto a quanto si possa fare al cinema, perché è continua e non limitata a un solo luogo. Un amico mi ha detto una frase molto interessante: «Il film è fatto per autori che hanno delle certezze, la serie è fatta per chi ha molti dubbi e poche risposte. Penso che siano mondi che possono e devono dialogare sempre di più, soprattutto nella forma».

Il suo nuovo film, "La lunga corsa", sarà proiettato in anteprima all'Arena Argentina lunedì 10 luglio. Che cosa può dirci dell’opera?

«È un film che viene da molto lontano - racconta il regista -. Ho scritto il soggetto più di venti anni fa, però non avevo ancora trovato la cifra giusta, o forse il coraggio di raccontare una storia che – secondo me – era più grande di quanto potessi pensare. È la storia di un bambino che nasce in carcere, figlio di detenuti, e dato che la legge lo permette, vive in carcere con la madre i primi anni di vita. Questo imprinting per lui è molto forte, tanto che lui vede quel luogo come casa, come il più sicuro al mondo. Crescendo, cercherà in tutti i modi di ritornarci». 

«È una storia che ho avuto il coraggio di fare solamente dopo aver realizzato il mio primo film, Easy – Un viaggio facile facile - continua -. Lì ho capito che avrei potuto e dovuto misurarmi con questa storia, che è una fiaba moderna, girata interamente in Ucraina, che nella finzione del film è una sorta di Italia senza spazio e senza tempo. Tra l’altro abbiamo concluso le riprese pochi mesi prima che iniziasse, purtroppo, l’invasione russa».

Un frame del film "Nico"

Un frame del film "Nico"

Le immagini del film non rischiano di raccontare un Paese che forse non c’è più?

«Quello che non c’è più, per adesso, è la spinta cinematografica - sottolinea Andrea Magnani -. Tutto è fermo a causa del conflitto. Questo è il vero cambiamento, perché in realtà il paese ha voglia di raccontare qualcosa che vada oltre il trauma della guerra, ha voglia di misurarsi con l’arte». 

«La cultura è anche una forma di resistenza nei confronti di un aggressore, perché è l’unico modo per dire che siamo ancora qui, che stiamo ancora cercando risposte nella vita, al di là della brutale invasione - aggiunge -. Penso e spero che tutto quello che c’era, ritornerà. Però bisogna sempre essere al fianco di chi vuole raccontare di nuovo storie, dare emozioni, perché la cultura è il modo più rivoluzionario che abbiamo per cambiare noi stessi, gli altri e anche il mondo».

Andrea Magnani

Il regista Andrea Magnani, direttore artistico di Magma Debut