Legislazione antimafia: a che punto siamo

Quinto incontro del ciclo "Dall’analisi del fenomeno mafioso alla cittadinanza attiva" dei seminari d’ateneo “Territorio, ambiente e mafie – In memoria di Giambattista Scidà”

Danilo Bilardi

La mafia ha sempre seguito la via del proprio arricchimento, un obiettivo della criminalità da raggiungere  in forte contrasto con la popolazione. E proprio il contrasto alle mafie è nato in Sicilia con diversi movimenti supportati dalla legislazione.

E proprio su questo tema, la lotta alla mafia con le norme, con la legge, è stato incentrato il quinto incontro – dal titolo La legislazione antimafia: a che punto siamo - del ciclo Dall’analisi del fenomeno mafioso alla cittadinanza attiva dei seminari d’ateneo “Territorio, ambiente e mafie – In memoria di Giambattista Scidà”.

Ad aprire i lavori è stata la docente Anna Maria Maugeri, ordinario di Diritto penale al Dipartimento di Giurisprudenza dell’Università di Catania, che ha raccontato di una vera e propria lotta economica alla mafia e dell’esigenza di migliorare gli strumenti del settore.

«Gli strumenti che abbiamo a disposizione in questo momento, come il sequestro e la confisca dei beni in mancanza di condanna, sono entrambi strumenti di prevenzione - ha spiegato -, questi ultimi sono degli strumenti efficaci, ma vanno accompagnati ad azioni più incisive».

«Sequestrando un immobile, il mafioso potrebbe benissimo utilizzarlo ugualmente andando ad ignorare la confisca, senza aspettarsi alcun tipo di reazione dal compartimento giuridico, oppure potrebbe andare recare danni ingenti all’immobile andando a costringere i comuni che lo riceveranno successivamente a lunghe operazioni di restauro che uniti ai tempi burocratici spesso portano a una trentina di anni di disuso completo», ha aggiunto.

Livio Ferrante, docente di Econometria al Dipartimento di Economia e Impresa dell’ateneo catanese, invece, si è soffermato sul peso economico della mafia sul Paese.

«L’Eurispes stima un giro d’affari di 220 miliardi di euro l’anno, più di quanto l’Europa mette a disposizione con il programma Next Generation EU – ha detto in apertura del suo intervento –. Alcuni studi scientifici, invece, si trovano in disaccordo con tali stime, ad esempio Francesco Calderoni, docente dell’Università Cattolica del Sacro Cuore di Milano, nel 2014, ha stimato che ogni anno le mafie mobilitano a stento 11 miliardi di euro».

Il tavolo dei relatori

Il tavolo dei relatori

Per il prof. Ferrante, però, la questione è ben diversa in quanto «andare a calcolare il movimento economico mafioso non è un buon modo per indicare il peso sul Paese perché quello vero è tutt’altra cosa». «Ci sono due tipi principali di influenze – ha aggiunto -. Ci sono quelle dirette come ad esempio l’impatto sull’economia come traffico di illeciti, estorsioni e danneggiamenti e quelle indirette come lo sviluppo tecnologico, qualità dei politici e amministratori locali ed istruzione».

«Sembra una contraddizione: se la mafia impatta negativamente sullo sviluppo tecnologico, come si spiega la sua forte presenza in territori molto sviluppati?», ha aggiunto il docente  ponendo la domanda.

«La presenza mafiosa causa un’estrema riduzione nel numero di brevetti, ma non la sua completa sparizione, portando così ugualmente uno sviluppo tecnologico – ha spiegato -. Riassumendo si può dire che lo sviluppo tecnologico in quel territorio sarà decisamente più lento rispetto alla ipotetica assenza della mafia».

A seguire Salvatore Cacciola, sociologo e presidente della Rete Fattorie Sociali Sicilia, è intervenuto evidenziando la questione dell’uso dei beni confiscati alla mafia.

«Il 15% dei beni confiscati rimane in un limbo, gestito dai comuni che talvolta non sanno nemmeno se gli immobili sono occupati o no, le potenzialità sono enormi, ma la maggior parte non viene utilizzata – spiega il sociologo –. I ritardi sono tanti, quello maggiore è perlopiù quello che va dalla confisca al reindirizzamento del bene».

Il 62% dei comuni non concede alcun tipo di informazioni sui beni confiscati all’interno del proprio sito istituzionale.

«Uno dei metodi per utilizzare questi beni potrebbe essere l’uso sociale, intendiamo con questo che ci sia una gestione che permette il collegamento tra cittadini e beni, la maggior parte dei territori viene utilizzata però per la “cosa pubblica”, non per il sociale», ha spiegato Salvatore Cacciola.

La problematica relativa ai beni confiscati, dunque, risulta essere un punto estremamente debole nella struttura legislativa riguardante la mafia, a partire dai tempi legati al semplice reindirizzamento di un immobile. La sensazione che si percepisce, pertanto, anche sulla base dei dati, è quella di un impegno non proprio sufficiente da parte delle istituzioni.