Levodopa e training motorio cruciali per contrastare il Parkinson

Ricerca Unict premiata come miglior studio scientifico del 2023 dalla prestigiosa International Parkinson’s and Movement Disorders Society. È la prima volta che viene assegnato a un gruppo di ricerca italiano

Mariano Campo

È italiano il miglior studio scientifico del 2023 sulla Malattia di Parkinson, e si deve a una équipe di medici e ricercatori dell’Università di Catania.

L’articolo dal titolo Long-Duration Response to Levodopa, Motor Learning, and Neuroplasticity in Early Parkinson's Disease, pubblicato nel mese di aprile sulla rivista della Società Movement Disorders, apre infatti nuovi scenari sulla modalità di cura farmacologica e sulla riabilitazione motoria e per questa ragione ha ricevuto nei giorni scorsi a Copenaghen il prestigioso premio Best Research Article of the Year, in occasione del congresso annuale della prestigiosa International Parkinson’s and Movement Disorders Society (MDS), la società mondiale che si occupa di Parkinson e altre malattie similari con oltre 15.000 associati tra neurologi, medici e ricercatori.

Si tratta di una sorta di “Pulitzer” per gli studi in tema di Parkinson che per la prima volta viene assegnato a un gruppo di ricerca italiano.

Il team di ricerca

Lo studio, pensato, pianificato, realizzato e prodotto interamente a Catania, è stato coordinato dal professor Mario Zappia, ordinario di Neurologia e direttore Uoc della Clinica neurologica del Policlinico universitario “Rodolico – San Marco”, alla guida di un team che nell’ateneo catanese ha lavorato incessantemente sul Parkinson al fine di affrontare questa malattia con tecniche nuove, composto da Giorgia Sciacca, Giovanni Mostile, Ivano Disilvestro, Giulia Donzuso, Alessandra Nicoletti.

Un momento della consegna del premio

Un momento della consegna del premio

Premesse e risultati dello studio

L’articolo riguarda una particolare risposta farmacologica (“di lunga durata”) alla levodopa, il farmaco che viene somministrato per essere trasformato in dopamina, sostanza questa mancante nei parkinsoniani, nota sin dagli anni ’70 del secolo scorso, ma sempre poco attenzionata dai clinici nonostante essa rappresenti una parte molto importante del benessere clinico del paziente. 

Una tra le ipotesi fatte è che la “risposta di lunga durata” non abbia a che fare soltanto con il miglioramento clinico e motorio del paziente parkinsoniano, ma che possa essere un effetto collegato a quello dell’apprendimento motorio (motor learning), in grado di modificare la neuroplasticità cerebrale.

L’obiettivo della ricerca è stato quindi quello di evidenziare eventuali modifiche della neuroplasticità cerebrale indotte sia dalla risposta di lunga durata alla levodopa che dal motor learning mediante l’analisi di alcuni parametri neurofisiologici espressione di neuroplasticità cerebrale. 

Il campione

Sono stati studiati 41 pazienti con diagnosi di malattia di Parkinson in fase iniziale e sottoposti a un trattamento bisettimanale con levodopa a dosaggio prefissato e noto per produrre una risposta di lunga durata ottimale in circa il 50% dei casi; alcuni pazienti sono stati randomizzati per eseguire un trattamento di apprendimento motorio e altri, invece, non sono stati sottoposti ad alcun esercizio motorio. I marker neurofisiologici di neuroplasticità cerebrale sono stati valutatati prima e dopo i trattamenti.

Il risultato più importante ottenuto ha evidenziato che i parametri neurofisiologici, espressione di neuroplasticità cerebrale, si modificavano sensibilmente nei pazienti che sviluppavano una risposta di lunga durata e ancora di più in quelli che oltre a presentare la risposta farmacologica avevano eseguito il training di apprendimento motorio. 

Tali modifiche non si osservavano, invece, nei rimanenti pazienti.

attività di ricerca

Le conclusioni

Lo studio catanese ha portato a ipotizzare che la levodopa non avesse un’azione univoca: non basta, infatti, assumere il farmaco per modificare la neuroplasticità cerebrale, poiché essa va incontro a cambiamenti solo in quei pazienti che sviluppano la risposta di lunga durata e ancora di più in quelli che contemporaneamente effettuano un esercizio motorio.

È stato quindi dimostrato che la risposta di lunga durata alla levodopa è in grado di modificare la neuroplasticità cerebrale, compromessa nei soggetti con Parkinson, ed è in grado di migliorare gli effetti dell’apprendimento motorio che è stato sempre il principale obiettivo della riabilitazione in questo campo.

Le conseguenze pratiche derivanti da questo studio sono fondamentalmente due. Innanzitutto occorre considerare che lo sviluppo della risposta di lunga durata deve essere l’obiettivo terapeutico principale da perseguire nei pazienti in trattamento con levodopa, perché è grazie a questa risposta che si producono quei cambiamenti di compenso della neuroplasticità cerebrale in grado di assicurare un benessere clinico sostenuto. 

Inoltre, la risposta di lunga durata facilita gli effetti dell’apprendimento motorio e come tale va considerata e utilizzata per ottimizzare al meglio i trattamenti di fisioterapia e di riabilitazione impiegati per il trattamento della malattia di Parkinson.

Nuovi scenari nella lotta al Parkinson

La ricerca condotta dal team coordinato dal prof. Mario Zappia apre nuovi scenari per la cura di questa malattia che è il secondo disordine neurodegenerativo, in termini di frequenza, dopo la malattia di Alzheimer. 

Oltre 300 mila persone ne sono colpite in Italia e soffrono con gravi ripercussioni di carattere economico e sociale sulle famiglie e sulla collettività.

Esso colpisce circa l’1% della popolazione con più di 60 anni e raggiunge il 4% tra i soggetti oltre gli 85 anni. Ciò suggerisce che un fattore biologico età dipendente, eventualmente in associazione all’esposizione cumulativa ad un fattore ambientale, sia tra gli agenti determinanti. La malattia è leggermente più frequente nel sesso maschile rispetto al femminile (60% vs 40%).

Nonostante la prevalenza aumenti progressivamente con l’età, non sono rari i casi in cui la malattia si manifesta prima dei 50 anni e anche prima dei 40 anni (Parkinson giovanile).

Il lavoro del gruppo di medici e studiosi catanesi rappresenta un contributo fondamentale all’individuazione della cura farmacologica e per la riabilitazione motoria

Il prof. Mario Zappia

Il prof. Mario Zappia