L’impegno federalista di Luigi Giusso del Galdo

L’intervento del docente Stefano Figuera sugli studi “europeisti” del proprio maestro 

Stefano Figuera

Le vicende che vedono l’Unione Europea chiamata a scelte difficili e non prorogabili, nell’ambito di un generale sconvolgimento degli equilibri mondiali, fanno tornare alla memoria il contributo che al dibattito teorico e politico il prof. Luigi Giusso del Galdo diede in tanti anni di impegno europeista.

Egli, che si definiva un federalista militante, visse con profonda partecipazione il faticoso cammino verso l’integrazione europea.

Come non ricordare il suo forte impegno politico in difesa degli ideali europeisti (tradottosi, tra l’altro, nella candidatura alle prime elezioni europee dirette del 10 giugno del 1979, nella lista del Partito liberale italiano, per il collegio Sicilia-Sardegna) e la incessante azione svolta a livello nazionale e locale attraverso la lunga militanza nel Movimento Federalista Europeo (del quale fu presidente regionale, oltre che della sezione di Catania), accanto ad amici e colleghi come, tra gli altri, Filadelfio Basile, Giovanni Montemagno e Rosario Sapienza.

Il suo europeismo aveva senza dubbio profonde e solide radici, ma era al contempo attentamente critico, non ammettendo superficiali adesioni o facili entusiasmi. Del processo di integrazione comunitaria egli aveva analizzato sin dall’inizio i costi e i benefici, non mancando di porre l’accento sui rischi connessi ad una non adeguata ponderazione di alcuni importanti profili.

Fu una riflessone teorica rigorosa a costituire il fondamento del suo europeismo. A quanti hanno avuto modo di affrontare il problema dell’integrazione monetaria europea è certamente nota la pregevole antologia, pubblicata nel 1974, dal titolo Teoria delle unioni monetarie e integrazione europea. Con essa egli contribuì a schiudere nuove prospettive agli studiosi italiani in ordine all’integrazione europea. 

Erano gli anni immediatamente successivi al crollo del sistema di Bretton Woods e al passaggio a un sistema di cambi fluttuanti, caratterizzati da forti turbolenze, ma nei quali si registravano già significativi sforzi per un processo di integrazione monetaria.

Nella prefazione a questo volume egli ribadiva con vigore la necessità “che il cammino dell’integrazione non potesse essere arrestato a metà, alquanto artificiosamente, ma dovesse essere proseguito fino a portare il ‘mercato comune’ ad una completa ‘unione’ economica (e verosimilmente anche politica)”.

Egli sottolineava, al contempo, come costituisse una contraddizione l’esistenza di una unione doganale come era la Comunità Economica Europeanon accompagnata dalla unificazione monetaria, o almeno da una decisa tendenza verso di essa”.

Il prof. Giusso salutò con grande soddisfazione l’adesione italiana al Trattato di Maastricht, sottolineando gli innegabili vantaggi derivanti dalla moneta unica. Egli aveva posto l’accento sul processo di maturazione storica che aveva condotto a quel passo così importante. “Penso – scriveva nel 1998 – che anche la moneta europea sia destinata a diventare realtà per effetto della ‘forza della storia’, di una certa ‘atmosfera storica’ che ci avvolge”.

Un momento dell'intervento del prof. Stefano Figuera nella sala consiliare del Comune di Catania

Un momento dell'intervento del prof. Stefano Figuera nella sala consiliare del Comune di Catania

Nei riguardi delle scelte di politica economica che ricondussero alcuni macro-aggregati dell’economia italiani in linea con i parametri di Maastricht egli manifestò vivo apprezzamento. Ritenne speciose le argomentazioni di coloro che avevano sottolineato come il cosiddetto ingresso in Europa stesse avvenendo “a carico di risparmiatori e pensionati” anche se non escluse che “l’argomento ‘Europa’” potesse essere stato usato, nel nostro Paese, “come strumento di pressione sull’opinione pubblica e sui sindacati per indurli ad accettare il risanamento dei conti pubblici”.

Al contempo egli manifestò forti perplessità in ordine alla possibilità che la politica economica europea potesse far perno solo sullo strumento monetario. Il controllo delle grandezze monetarie da parte della Banca Centrale Europea poteva, a suo avviso, rivelarsi insufficiente.

Il prof. Giusso guardava con attenzione a chi, come Giorgio Fodor, osservava che “una Banca Centrale indipendente, con l’obbligo istituzionale di prendere in considerazione unicamente la stabilità monetaria, può essere costretta a comportarsi in un modo disastroso per la società e, naturalmente, per l’economia” o a chi, come Ferdinando Targetti, criticava il fatto che “scelte che influenzano reddito e occupazione dei cittadini devono essere prese da un organo non elettivo e non sottoposto al giudizio di nessun organo elettivo”.

Egli poneva altresì l’accento sulla opportunità di non enfatizzare l’autonomia della Banca Centrale Europea, osservando come la sua fosse un’autonomia formale “che può non coincidere con un’autonomia sostanziale”.

“C’è della retorica – egli aggiungeva - nel dare all’obiettivo della stabilità dei prezzi un rilievo assoluto ed esclusivo anche solo in riferimento ai compiti della Banca Centrale (a livello sia nazionale che comunitario). La compresenza di altri obiettivi (occupazione e sviluppo) non può essere trascurata da nessun soggetto di politica economica”.

Mi sembra doveroso richiamare alla memoria la cautela manifestata dal prof. Giusso riguardo ai meccanismi posti a base di quel Patto di stabilità e di crescita sul quale si è così ampiamente discusso. Oggetto delle sue osservazioni erano il livello dei parametri di riferimento fissati nel 1992, così come il meccanismo sanzionatorio che si sarebbe attivato in caso di inosservanza dei limiti imposti. Egli poneva l’accento sulla necessità di evitare “strabismi” nella gestione della politica economica dell’Unione Europea.

In un articolo pubblicato nel 1994 sulla rivista “Nord e Sud” egli faceva proprie le conclusioni dell’allora presidente del Mfe, Mario Albertini (La crisi dello SME, “Il dibattito federalista” del 1993), che affermava “non ci può essere politica europea senza affrontare il problema della moneta; non si può fare a meno della moneta senza affrontare i problemi della disoccupazione e dello sviluppo”.

Il prof. Giusso sottolineò l’inseparabilità di tali problemi per affermare “non possiamo prescindere dalla qualità dello sviluppo e dell’occupazione; ciò comporta il rifiuto dell’identità sviluppo = mercificazione = Pil tradizionalmente inteso” e per manifestare al contempo la sua perplessità nei riguardi di quelle che de-finiva le “posizioni estreme” di Friedrich August von Hayek.

Il prof. Luigi Giusso del Galdo nelle vesti di sindaco in uno scatto del 1991

Il prof. Luigi Giusso del Galdo nelle vesti di sindaco in uno scatto del 1991

Le recenti vicende che stanno caratterizzando la scena internazionale avrebbero indotto il prof. Giusso, liberale e federalista, a ribadire la sua vicinanza a Luigi Einaudi (“un grande federalista e limpido studioso” lo definiva) ancor più in occasione di una ricorrenza, come quella appena celebrata, dei centocinquant’anni della sua nascita. Proprio a proposito della strada da percorrere nel processo di integrazione europea, egli richiamava il contributo di Einaudi.

Non mancò di porre l’accento sulla posizione che l’illustre studioso assunse su La Stampa del 20 agosto del 1897 nell’articolo dal significativo titolo Un sacerdote della stampa e gli Stati Uniti d'Europa.

Il prof. Giusso  ricordava poi come nel 1918 Einaudi avesse osservato che “gli stati europei sono divenuti un anacronismo storico” e ribadito che “il nemico numero uno della civiltà, della prosperità – ed oggi devo aggiungere, della vita medesima dei popoli – è il mito della sovranità assoluta degli Stati”.

Tale posizione sarebbe stata confermata davanti alla Assemblea Costituente il 29 luglio 1947, in sede di ratifica del Trattato di Parigi del 10 febbraio 1947.

È proprio alla luce di questo importante lascito einaudiano che egli rifiutava, giudicandolo in sintonia con “l’Europa delle patrie” del generale De Gaulle e contrario al principio federalistico, il motto Una campagna per un’Europa di Stati sovrani coniato alla fine degli anni ’80 del secolo scorso da quel Gruppo di Bruges che ebbe in Margaret Thatcher un’importante ispiratrice.

Ciò non gli impediva, al contempo, di fare proprie alcune osservazioni critiche che questo think-tank avanzava, ponendo in guardia dal rischio di pericolose disfunzioni che potevano colpire le istituzioni comunitarie. 

Osservava: “Quali che siano le nostre preferenze sull'evoluzione in senso federalista della Comunità, è innegabile che la sferzante e analitica denuncia di certo centralismo, dirigismo, burocraticismo di Bruxelles, delle tendenze di chiusura verso l'esterno (l’Europa come «fortezza») e di ogni sorta di sprechi di risorse (non solo nella Pac), di cui il Gruppo e, in maniera più partigiana, il governo inglese si fanno carico, forniscono sicuramente un contributo a una migliore costruzione dell'Europa unita; nonostante ogni apparenza”.

Egli concludeva la sua analisi nel citato volume Verso l’Euro manifestando un rammarico che esprimeva, al contempo, l’auspicio di una piena integrazione europea. “Resta il paradosso di una politica economica sempre più «unitaria», senza un corrispondente potere politico europeo sopranazionale e federale, democraticamente responsabile. È un grande problema aperto”.

Questi elementi che emergono dalla sua riflessione si rivelano, ancor più nell’attuale delicata fase della storia europea, come un forte invito a essere, alla stregua di Einaudi, federalisti “nel significato più completo del concetto”.

Questo invito ad assumere un atteggiamento scevro da pregiudizi e animato da una forte tensione morale, rappresenta parte importante della preziosa eredità che il prof. Luigi Giusso del Galdo, rigoroso intellettuale e appassionato europeista, ci ha lasciato.

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