L’umorismo che turba, che dà fastidio, a tratti vergognoso di Nicola Vicidomini. Al Teatro Coppola risate e applausi al performer campano protagonista con lo spettacolo “Veni Vici Domini-Sprucid Version”
«Stasera avete potuto vedere come si può essere 'teatro senza un teatro'». Con queste parole Nicola Vicidomini ha salutato il pubblico a chiusura dell’esibizione di venerdì scorso al Teatro Coppola-Teatro dei Cittadini di Catania dove ha messo in scena lo spettacolo “Veni, Vici, Domini-Sprucid Version”.
Ma chi è Nicola Vicidomini? Difficile dirlo, così come tracciare un profilo chiaro e limpido dell'umorista e performer che, già prima di entrare in scena, strappava sorrisi nel backstage. Eppure sarà lui stesso a farlo soffermandosi sul concetto di 'identità'.
«Se lo sapessi non starei qui, nulla è conoscibile, nulla è definibile - ha precisato il compositore originario di Tramonti, un borgo lungo la Costiera Amalfitana -. L’identità non è una cosa che mi riguarda, non mi interessa. Dell'identità di genere, nemmeno a parlarne. In questo momento c'è una ricerca spasmodica di identità, ma bisogna dissolverla, è l’unico modo per respirare l’esistenza».
Osservare Nicola Vicidomini sulla scena turba, dà fastidio, libera i polmoni dalle sociali polveri sottili che respiriamo senza rendercene conto, sicuri di star respirando aria fresca.
Vi è mai accaduto di vedere un umorista come lui, un ballerino, un cantante sulla scena e chiedersi “perché è lì sopra, Vicidomini perché sei lì a dare fastidio?”
«Non lo so perché. Sono un condannato – racconta il performer, considerato un ‘innovatore’ del linguaggio umoristico prima di salire sul palco -. Ti dico la verità, io sul palco non ci vorrei stare. Inizialmente avrei voluto che altri attori avessero messo in scena le mie cose, però ho capito ad un certo punto, una ventina di anni fa, che nessuno meglio di me avrebbe potuto incarnare queste visioni. Non si tratta di passione, è un riflesso autistico che muove da una tensione innata».

Nicola Vicidomini al Teatro Coppola
Nicola Vicidomini sale, infatti, sul palco con le braccia legate al busto da una corda. La sua comicità aggredisce. Vuole comunicare, forse, che lo fa controvoglia?
O vuole prendersi gioco della sua condanna, apparendo come l’incarnazione della libertà? Un essere umano che mette in luce, ridendoci sopra, i suoi lati più osceni, più fastidiosi. Lati che nella vita quotidiana tendiamo a nascondere. Peculiarità forse, che in una società che non accetta il fallimento, che scaccia l’unicità, omologandoci, sarebbero visti come una vergogna.
«Liberaci dalla società che questi Tic vorrebbe estirparci». Un umorismo che fa riflettere, direte voi, a questo punto. E su cui lo stesso Nicola Vicidomini esprime la propria opinione.
«Secondo me non bisognerebbe più pensare – racconta -. Quello che faccio provoca un superamento di certe categorie. Chi viene al mio spettacolo mi dice: “Mi sento più leggero, ridevo e non sapevo perché”. Questo cosa vuol dire? Distrugge la storia, finalmente, non essendo più l'"Io" di nessuna narrazione, ma di un respiro. Una connessione con il mistero che siamo. Tutto questo cozza con un umorismo che fa pensare ed è un sacrosanto insulto a qualsiasi intelligenza. Puoi riflettere i primi cinque minuti, ma se la riflessione persiste, scappi dalla sala perché ti senti minato nelle tue certezze borghesi, civili e morali. L’arte è abbandono».
Sulla scena c’è solo lui, un monologo. O forse un dialogo con il pubblico? Resta il fatto che c’è lui, Nicola Vicidomini. Ma non è al centro della scena, si abbassa, ridicolizzandosi. Ti fa ridere, sì! È una risata che, a tratti, non vorresti avere. Il solletico provoca la stessa reazione, una risata nervosa di chi istintivamente vorrebbe scappare perché si sente aggredito nella sua intimità.
«Un attentato all’antropocentrismo – spiega -. Da troppo tempo l’Uomo si è posto al centro del mondo. Non è che tu Uomo, hai ragione, solo perché ti fai forte del fatto di essere contenuto o adempiere a categorie che hai inventato tu stesso, ad esempio l’evoluzione e il progresso...Individuando chissà quale superiorità in nome di valori che ti canti e suoni da solo. Io credo di imparare di più guardando gli occhi del mio gatto Alberto che leggendo ad esempio Socrate. Spodestiamo l’Uomo dal centro del mondo».
Vicidomini sul palco è l’Uomo che è stato auto-spodestato, che si è abbassato così tanto da diventare animale, rifiutando di essere un ‘essere umano’.
Un animale, in accezione positiva, si è connesso alla sua parte più istintiva. Quella che perdiamo, forse, già dopo il primo pianto che ci mette alla luce. Quella che, forse, attraverso il suo umorismo rivendichiamo, a tratti, controvoglia.

Nicola Vicidomini al Teatro Coppola
«Io però - afferma - non ho la presunzione di dire che quello che faccio serva a qualcosa, semplicemente perché sono un "uomo di mondo", come diceva Totò. Riconosco il mondo come “Volontà e Rappresentazione” per dirla alla Schopenhauer. Credo che quello che porto sul palco sia una visione che attraversa il pubblico dall’inizio alla fine. Prendo le distanze dal corollario di realtà. È soprattutto un rito. Ma non voglio assumermi l’onere di essere un sacerdote, sono semplicemente un animale, il capro auto-espiatorio».
Nicola Vicidomini, infine, incalzato sul suo futuro, si sofferma più che altro sul presente. «Ciò che posso fare è occuparmi è percepire la totalità nel presente – spiega -. Non mi preoccupo del futuro perché non esiste, come non esiste il passato, in fondo ci troviamo anche alla fine di una civiltà».
E se a questo punto si comincia a dubitare di se stessi, di ciò che ci circonda, non dobbiamo preoccuparci più di tanto. Come ha detto in chiusura dello spettacolo Nicola Vicidomini, “il più grande comico morente”, prendendo spunto dal titolo del saggio di Enrico Bernard, dedicato al ‘pianeta’ dell’innovatore della scrittura di scena, «la persona più lontana da me stesso, sono io».