Marranzano World Fest, cuori vibranti come corde di un unico strumento

Multiculturalità con musiche dal mondo attraverso strumenti a corda dalla liuteria catanese al Medio Oriente, dall’Africa all’Europa dell’Est

Irene Isajia

Il Palazzo della Cultura si veste di colori e, mentre i piedi del folto pubblico varcano la soglia, lo sguardo curioso è già dentro il Cortile Platamone, dove gli spazi vivono di una luce speciale.

Sono i colori delle trame di tessuto dell’artigianato, i profumi dei saponi e degli unguenti, i suoni degli strumenti a percussione e dei marranzani dal mondo, i sapori dei cocktail dello spazio bar allestito da GammazitaI sensi si immergono in un altrove che è metafora di libertà, fratellanza, accoglienza.

Nel contesto della Giornata mondiale del Rifugiato, il Marranzano World Fest apre la seconda serata del Festival con la collaborazione di Mondo di Musica e Associazione Musicale Etnea e il supporto della Cooperativa Il Nodo.

Il Festival è inserito nel progetto Tremolo che prevede un network europeo con partner di diversi paesi come Ungheria, Serbia, Francia e Belgio. 

La platea è già piena e ancora non è giunto l’orario d’inizio. Sale sul palco Luca Recupero, patron del festival e, mentre si fa buio in sala, le luci sul palco diventano intense, il cortile diventa pian piano un tappeto di persone, trepidanti per un concerto che si anticipa ricco di ritmo dentro e fuori. Massiccia è la presenza di africani provenienti dal Mali: è una serata che non dimenticheranno mai.

Il programma presenta diversi “duo” che creano un itinerario alla scoperta di strumenti a corda della loro tradizione. 

Si parte con i Tangram, un fratello e una sorella da Roma attraverso il mondo, dal West Africa con brani di cantastorie accompagnati dalla kora, alle melodie salentine, all’omaggio alla terra del Mali con brani che legano, coinvolgono la memoria, stringono e liberano facendo vibrare i sentimenti profondi dell’anima che all’unisono chiedono integrazione, libertà nella diversità. 

Un momento dell'esibizione dei Tangram

Un momento dell'esibizione dei Tangram

Il secondo duo, stavolta italo-algerino, vede protagonisti Maura Guerrera (voce) e Malik Ziad (strumenti). 

Il nome della loro formazione è Spartenza che significa ‘separazione’, un tema esistenziale che tocca l’uomo sin dal suo nascere e che lo ritrova dentro gli spazi della vita in cui si confronta con le partenze. Le rive dell’Africa e della Sicilia si guardano, si osservano, si specchiano e si ritrovano in una musica che unisce i popoli. 

Con loro si entra in un’altra dimensione che ha inizio nelle registrazioni di canti di lavoro, canti di spartenza e ninna nanne, raccolte sul campo da etnomusicologi. La lingua siciliana è il pentagramma su cui scrivere le note dei ritmi algerini con il supporto del gumbri (uno strumento della famiglia dei liuti originari degli Gnawa) e la mandola (spesso usata nello stile Chaâbi e in Kabylian).

Il terzo gruppo della serata scalda l’atmosfera di ritmi dell’Europa dell’Est. Dalla Macedonia del Nord, una formazione tutta al femminile, Perija che con percussioni e l’oud arabo danno voce a chi non l’ha più a causa della ‘policy brutality’. 

Un groove quasi propiziatorio che conduce alla danza, spezza il concerto, in una pausa in cui si “accendono” quei passi spinti da un ritmo profondo spesso soffocato dalla spartenza dalla terra d’origine o dalla distanza causata dall’invadenza culturale. Nella condivisione il ritmo diventa contagioso e predispone all’ultima parte del concerto, quella che si preannuncia ricca di emozioni.

Un momento dell'esibizione di Oumou Sangare

Un momento dell'esibizione di Oumou Sangare 

Il finale è affidato ad una artista senza pari, Oumou Sangare, dal Mali, per la seconda volta a Catania, dopo il 2017 quando è salita sul palco di Porte Aperte dell'Università di Catania al Monastero dei Benedettini. Oumou Sangare racconta in musica la sua storia di donna che giovanissima sceglie un futuro d’arte, libero da convenzioni culturali. Da sempre si batte per i diritti delle donne e in particolare contro i matrimoni combinati e la poligamia. 

I suoi testi attraversano lingue diverse dell’esteso territorio maliano e i ritmi sono trasversali al mondo che lei stessa ha vissuto con la sua musica e la sua voce. In un attimo, l’attesa trepidante si trasforma in un abbraccio: come un’onda anomala, tutti si spostano d’improvviso sotto al palco, non appena la loro beniamina entra nel raggio di luce dei fari. 

Telefonini in aria pronti per i selfie di rito con la protagonista del concerto, cori da stadio riempiono il Palazzo della Cultura e, in un batter di ciglia, si assiste ad un forte abbraccio del pubblico con l’artista.

Un’immagine commovente accompagnata, poi, dalle parole di Oumou Sangare ai suoi fan «Vi comprendo – spiega –. So bene cosa provate, il vostro sentimento è il mio sentimento. Noi sappiamo cosa c’è nella nostra terra e cosa siamo costretti a lasciare. Qui ritroviamo la nostra terra. La musica ci fa ritrovare noi stessi, gli altri e la nostra casa. Vi amo. Vi amo tutti».

Un momento dell'esibizione di Oumou Sangare

Un momento dell'esibizione di Oumou Sangare 

Un crescendo di emozioni che non vuole terminare mai, tra canti, danze e sguardi malinconici, ma felici di vivere uno spazio di respiro eterno. Tra i portici c’erano anche testimonianze, foto e versi che richiamano i viaggi nelle terre lontane che gridano vita, speranza e desiderio di felicità. 

Una poesia, fra tutte, è rimasta impressa nella mia mente come una fotografia. 

È di Soumaila Diawarr e s’intitola La macchina sognante. «È Piacevole il suono del Noi, così tanto da usarlo, il Noi, senza ritegno alcuno, per giustificare atti e fatti, che a volte vanno oltre l’orrore; il Noi è plotone di esecuzione; dieci fucili per un corpo – scrive Soumaila Diawarr -. Dieci Pallottole per togliere una vita. Il noi toglie il rimorso. Giustifica il male. Noi dell’Italia. Noi del Sud. Noi Maliani. Noi Africani. Noi che viviamo, siamo. Esistiamo. Ma Noi, non siamo diversi da voi. Respiriamo. Abbiamo progetti. Vorremmo essere felici. Noi siamo come voi. E vediamo come voi, come Noi. Chiunque siate. Noi, siamo il popolo della Terra. Uomini, donne, bambini, adulti, anziani. E non abbiamo muri, ma cuori».