«Per me contano altre cose: la mia professione ha un nome ed è direttore d’orchestra»

Intervista a Beatrice Venezi, maestro concertatore del Don Giovanni al Teatro Massimo Bellini di Catania, nella stagione 2024/2025

Laura Beninato

Beatrice Venezi è nata a Lucca nel 1990 ed è un direttore d’orchestra e una pianista italiana. È tra i direttori d’orchestra più giovani in Italia, oltre a essere una delle poche donne a ricoprire questo incarico.

Di recente, ha diretto il Don Giovanni al Teatro Massimo Bellini di Catania, accompagnando con la musica di Mozart il libretto di Da Ponte, curato dal regista Davide Garattini Raimondi. Venezi si caratterizza per uno stile leggero e armonioso, elegante e quasi gentile.

Rimarca molto le sfumature dell’opera che dirige, ma al contempo ha una conduzione molto fluida, dolce, “femminile”. Caratteristica evidente anche nel suo vestiario, costituito di abiti eleganti, semplici, alla moda, ma non sgargianti, quasi a volersi mostrare al pubblico per ciò che è davvero: «Mi piace dirigere in gonna, ho diversi abiti da sera, mi piace il rosso. Non dobbiamo imitare gli uomini quando dirigiamo. L’omologazione non porta a nulla di creativo. Noi donne abbiamo una visione diversa», ha raccontato al Corriere Della Sera.

Tuttavia, nonostante nei suoi spettacoli non tema, ma anzi affermi con orgoglio, la sua femminilità, la Venezi ha dichiarato di riconoscersi nel titolo di direttore d’orchestra, concordato al genere maschile piuttosto che femminile.

Infatti, quando fu invitata da Amadeus a condurre Sanremo Giovani, egli mise subito le cose in chiaro, con la conferma della Venezi stessa: «Sì assolutamente, per me contano altre cose: la preparazione, il modo in cui si fanno le cose… La mia professione ha un nome che è ‘direttore d’orchestra’».

Un momento del concerto diretto da Beatrice Venezi

Un momento del concerto diretto da Beatrice Venezi

Comunque sia, la Venezi, nonostante le critiche, va per la sua strada; tant’è che uno dei suoi desideri è quello di far apprezzare la musica classica anche alle nuove generazioni, da cui i giovani vanno, invece, sempre più allontanandosi. Infatti, in un’intervista di pochi anni fa, il direttore propone un ipotetico approccio da adottare, diverso rispetto a quello che solitamente viene usato negli istituti scolastici: «è la scuola che dovrebbe avere un ruolo fondamentale, non solo insegnandola con il flautino di plastica alle medie, che per me è una delle cose più sbagliate da fare, ma portando i ragazzi a vedere quello che succede dietro le quinte di un teatro, a respirarne l’atmosfera magica che non si può trovare da nessun’altra parte. I costumi, il trucco, il parrucco, la sala prova, sono tutti elementi fantastici in cui i giovani dovrebbero “perdersi”».

Effettivamente è ciò che sta succedendo, o almeno, è successo con il Don Giovanni presentato al Teatro Massimo Bellini, che ha avvicinato anche i giovani all’opera con le sue ambientazioni e i suoi abiti moderni. Nonostante il regista Raimondi sia rimasto fedele al libretto di Da Ponte, lo stile degli anni ‘20 del Novecento conferitogli ne ha reso gradevole la visione sia per chi conosceva la storia dell’opera, sia per chi si stava approcciando per la prima volta. Unito allo stile leggiadro e soffice del direttore d’orchestra, si è andato a creare ancora una volta un nuovo Don Giovanni, contornato di musiche leggermente più lente e romantiche, in contrasto con le luci e le scenografie di colore azzurro, a ricordare la morte.

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