Mia madre mi disse: ricordati di noi e dillo a tutti loro!

L’incontro con Azar Nafisi e il ritratto della realtà iraniana a Taobuk 

Marielena Greco

In dialogo con Barbara Stefanelli, vicedirettore del «Corriere della Sera», da Piazza IX Aprile a Taormina, ospite di Taobuk, Azar Nafisi ha parlato al suo pubblico delle libertà, tratteggiando un ritratto della popolazione iraniana e della lotta al regime degli ayatollah.

La scrittrice, che dalle sue pagine testimonia e prende posizione a favore della liberazione delle donne in Iran, ha preso spunto dal titolo dell’incontro – La libertà delle libertà: il diritto all’immaginazione – per sottolineare come quest’ultima possa essere percepita come un pericolo da coloro che vogliono imporsi sugli altri. 

Il riferimento ai sistemi totalitari è divenuto esplicito nel momento in cui l’autrice ha evidenziato come il regime iraniano, allo scopo di controllare la vita delle persone, miri a fondare una società basata sulla prevaricazione e sulla bugia, rubando nel frattempo l’identità – personale, storica, sociale e culturale – alla popolazione.

Questa ‘sottrazione identitaria’ in Iran si fa più densa e imponente nel caso delle donne, che vedono loro depredata la femminilità. «Il desiderio – ha affermato la scrittrice – è quello di essere libere e di poter camminare per strada ognuna con la propria identità; invece, il velo ti spinge a odiare te stessa perché non sai più chi sei, perché ti è stato imposto».

Un momento dell'intervento di Azar Nafisi

Un momento dell'intervento di Azar Nafisi

Nafisi ha spiegato che è proprio come conseguenza di questo stato di cose che l’immaginazione arriva in soccorso delle donne iraniane. «Grazie a essa loro sono riuscite a essere così forti da scendere in strada, cantare e far sentire la propria voce. Queste donne hanno una grande forza, sono consapevoli che potrebbero anche non rientrare a casa; ciononostante, per poter essere libere, si espongono al rischio di perdere la vita. È molto importante che voi questo lo capiate, perché in Iran è una realtà quotidiana» ha detto la scrittrice.

L’autrice ha raccontato anche di sé e del suo rapporto personale con l’immaginazione, e di quanto questo concetto sia per lei legato alla figura del padre, che l’ha sempre incoraggiata a svilupparla. 

«Io ho iniziato a coltivare la mia immaginazione a tre anni quando mio padre – ha ricordato Nafisi – tutte le sere mi raccontava storie provenienti da tutto il mondo. Mi portava in Francia, in Inghilterra e anche in Italia. Mi ha parlato di Pinocchio, come anche delle opere di Dante e di Ovidio. Il mondo intero era entrato nella mia camera di Teheran proprio attraverso l’immaginazione. E per la mia gente l’immaginazione serve proprio a questo, a rimanere in contatto con il resto del mondo, anche se, vivendo sotto un regime, bisogna farlo di nascosto».

E questa necessità di mantenere un contatto con il mondo per la scrittrice si collega simbolicamente anche alla cinematografia iraniana odierna, che trabocca di storie e di racconti, e risponde al bisogno avvertito in Iran «di avere la possibilità di raccontare le proprie storie, la propria quotidianità». 

Un momento dell'intervento di Azar Nafisi

Un momento dell'intervento di Azar Nafisi

E cosa c’è di meglio di un buon film per essere sovversivi e smascherare le menzogne di un regime? Si tratta di osservazioni che è possibile estendere ad ogni ambito, se si pensa ad esempio al fatto che «fino a questo momento – come ha chiarito l’autrice – in Occidente avete sentito parlare della versione raccontata dal regime sulle donne iraniane e su quello che stanno facendo, ma sarebbe l’ora di poter sentire anche la versione di quelle donne. Senza dimenticare, però, che queste donne non sono le prime, sono state precedute dalle loro madri, dalle loro nonne e bisnonne». 

Non a caso, l’intervento di Nafisi ha poi ceduto il passo al racconto di un episodio che vale la pena riportare per intero.

«La prima donna a togliersi il velo in Iran è stata una bellissima poetessa; una volta si trovava insieme a un gruppo di persone all’aperto ed ebbe il coraggio di togliersi il velo – ha raccontato –. Tutti pensarono che fosse un evento epocale, non era mai successo prima. Un paio di uomini che videro questa scena da lontano rimasero talmente scioccati che si tagliarono la gola con il coltello. Questo per farvi capire quanta forza una simile azione può avere in una società come la nostra. Ovviamente la storia non finì bene, perché i membri di quello che noi chiamiamo ‘clero’ arrestarono la donna di notte, la strangolarono e la buttarono in un pozzo affinché non avesse sepoltura e non potesse divenire un monito per nessun’altra». 

Tuttavia, dopo la sua morte, questa poetessa è divenuta un simbolo di emancipazione per le donne che combattono per la libertà. 

Un momento dell'intervento di Azar Nafisi

Un momento dell'intervento di Azar Nafisi

A Barbara Stefanelli, che le ha chiesto in cosa risieda l’importanza del velo, l’autrice ha risposto che «il regime vuole mostrare di essere forte e per far ciò prevarica sulle donne». «Se facciamo vedere una ciocca di capelli, ci accusano che stiamo minando la forza dello Stato; vogliono una standardizzazione, pretendono di renderci tutte uguali» ha spiegato.

Anche in relazione a questo aspetto, inoltre, è stata sottolineata l’importanza pedagogica del raccontare le favole ai bambini. Le favole, per Azar Nafisi, sono un’allegoria della vita perchè «ci insegnano che c’è il bene, la meraviglia, ma che c’è anche il male, ci sono dei rischi, e bisogna stare attenti e capire in chi riporre la propria fiducia». Eppure, dietro ogni storia – per quanto terribile essa possa essere – c’è sempre una speranza

La stessa speranza la madre di Nafisi ripose in lei quando, la mattina prima che la scrittrice lasciasse l’Iran, le disse: «ricordati di noi e dillo a tutti loro; racconta a tutti la vita che noi siamo costretti a subire qui». 

Un incentivo, questo, reiterato anche durante la permanenza dell’autrice negli Stati Uniti, tutte le volte in cui, attraverso il sottile filo di un telefono, la madre ha continuato a ricordarle di alzare la voce, «perché i totalitarismi ti vogliono isolato, solo, tagliato fuori dal mondo e utilizzano questo atteggiamento con lo scopo di piegare le persone». 

E Azar Nafisi – nell’immaginazione e nella realtà – è una scrittrice che non si piega facilmente.