È una delle tematiche più discusse nelle riviste di Igiene Applicata ed Epidemiologia Molecolare
Gli ftalati e il bisfenolo A sono gli additivi plastici maggiormente aggiunti alle materie plastiche durante i processi produttivi per migliorarne le proprietà. Vengono miscelate con il polimero plastico e di conseguenza possono essere rilasciate nell’ambiente, specialmente quando i prodotti plastici vengono degradati in detriti e microplastiche.
Tali sostanze hanno la capacità di accumularsi nei tessuti degli organismi marini e causare soprattutto effetti negativi sul loro sistema endocrino, per tale motivo sono identificati come interferenti endocrini (EDC). È noto che esposizioni a bassi livelli di tali sostanze portano a cambiamenti sia transitori che permanenti nel sistema endocrino.
In questo contesto occorre approfondire il potere nefasto degli Xenobiotici e il significato di Antropocene.
Il termine Microplastiche è stato coniato per la prima volta nel 2004 e fa riferimento a tutte quelle plastiche con un diametro inferiore ai 5 mm che, a causa della presenza massiccia di rifiuti non adeguatamente smaltiti, si riscontrano nell’ambiente marino, nelle acque, nel cibo e negli organismi acquatici e terrestri.
L’attuale definizione è molto vaga in quanto le materie plastiche inferiori ai 5 millimetri presentano caratteristiche chimiche e morfologiche assai variegate.
La prima materia plastica prodotta fu la bachelite, scoperta nel 1906 dal chimico belga Leo Baekeland. La Bachelite, quindi, è stata la consacrazione che portò all’avvento di una nuova era: l’Antropocene.
L’Antropocene è la nuova era geologica in cui l’uomo è assolutamente protagonista, soprattutto per quanto ne concerne l’inquinamento ambientale, i cambiamenti climatici e lo sversamento di rifiuti tossici negli ambienti naturali.
L’inquinamento da plastiche e microplastiche rappresenta l’esempio lapalissiano di Antropocene in quanto gli effetti negativi possono essere osservati nell’uomo, negli animali e in tutto ciò che ci circonda. L’uomo è il protagonista indiscusso in quanto compete fortemente con l’ambiente esterno.

Plastiche colorate
Le Microplastiche, ad oggi, possono essere distinte in due categorie: origine primaria e secondaria.
Le Microplastiche di origine primaria si riscontrano nei cosmetici di uso comune come dentifrici, scrub, maschere per il viso, trucchi e vernici. Una volta finite negli scarichi vengono riversate in mare e ingerite dagli organismi che popolano l’ecosistema marino (di conseguenza entrano nella rete trofica in cui vi è l’uomo consumatore di prodotti ittici)
Le Microplastiche di origine secondaria derivano dallo sfaldamento di fibre sintetiche (per esempio durante i lavaggi dei capi in lavatrice) o dalla frammentazione delle buste di plastica più grandi.
Gli organismi marini possono ingerire deliberatamente le plastiche scambiandole per prede, ad esempio le tartarughe marine Caretta caretta vengono tratte in inganno in quanto le buste di plastica (soprattutto quelle semi-trasparenti) sono facilmente confondibili con le meduse, causandone la morte per soffocamento e avvelenamento.
Un’altra teoria sviluppata dai ricercatori è quella dell’odore rilasciato dalla materia plastica. Le buste e i contenitori di plastica che si trovano nelle nostre spiagge, infatti, rilasciano dimetil-sulfuro, la stessa sostanza che viene prodotta dalle alghe una volta che vengono mangiate dai krill. Di conseguenza le tartarughe ingannate dall’odore si ciberanno di contenitori e oggetti in plastica.
Gli additivi delle plastiche, hanno un’origine sintetica ed essendo delle sostanze estranee al normale metabolismo degli organismi viventi, possono essere definiti come xenobiotici. Un’esposizione ad essi può avere delle conseguenze negative sui processi metabolici e sul sistema endocrino.
Il Bisfenolo A o il benzo(a)pirene, è un plastificante sintetico fortemente presenti in tutti gli oggetti di plastica. Le concentrazioni più elevate si possono riscontrare anche in manufatti che non rispettano le linee guida europee e internazionali.

Un esemplare di Caretta Caretta
È nota la sua attività da interferente endocrino o distruttori endocrino (EDC). Gli interferenti endocrini sono una serie di composti esogeni (che provengono dall’ambiente esterno) capaci di interferire nello sviluppo ed escrezione degli ormoni.
Tali Xenobiotici possono legarsi ai recettori ormonali (in quanto hanno una porzione totalmente sovrapponibile al recettore stesso) portando ad una risposta esageratamente eccessiva dei livelli ormonali di estrogeni (ormoni femminili) e androgeni (ormoni maschili), causando infertilità e problemi agli organi genitali maschili e femminili.
Un esempio è dato anche dal Tributilstagno, composto ampiamente utilizzato nelle barche e nelle parti immerse in acqua per evitare la formazione di incrostazioni biologiche. Il Tributilstagno causa imposex (imposizione dei caratteri sessuali maschili nei soggetti di sesso femminile) in alcune specie di molluschi appartenente alla famiglia Muricidae. Di conseguenza i soggetti di sesso femminile sviluppano caratteri sessuali maschili come i dotti deferenti e l’uretra.
Una ricerca effettuata da Antonio Salvaggio (2019) – dal titolo Biomarkers of Exposure to Chemical Contamination in the Commercial Fish Species Lepidopus caudatus (Euphrasen, 1788): A Particular Focus on Plastic Additives - evidenzia che Lepidopus caudatus (Pisces, Trichiuridae) può essere utilizzata come specie sentinella per valutare la contaminazione marina dagli additivi della plastica (ftalati, bisfenolo A) e dalle sostanze chimiche, soprattutto i metalli, utilizzati anch’essi per la produzione delle plastiche.
Il presente lavoro dimostra la capacità di tali xenobiotici nell’agire come interferenti endocrini. Gli alti livelli di Bisfenolo A, Benzo(a)pirene, Cadmio e Mercurio hanno determinato l’espressione della proteina vitellogenina (generalmente silenziata nei maschi ed espressa nelle femmine) con conseguente femminilizzazione dei soggetti maschi di Lepidopus caudatus.

Attività di ricerca
L’espressione della vitellogenina è, infatti, associata alla formazione di un testicolo ovigeno, ovvero un testicolo in cui formerà un follicolo ovarico.
Tali risultati, evidenziano l'impatto dei rifiuti plastici e in particolare degli additivi in essi presenti, sulla vita marina e sulla sopravvivenza della specie.
In un’altra ricerca scientifica condotta da Maria Elena Scalisi, ricercatrice dell’Università di Catania - dal titolo Susceptibility of Human Spermatozoa to Titanium Dioxide Nanoparticles: Evaluation of DNA Damage and Biomarkers - viene messa in evidenza la suscettibilità degli spermatozoi umani alle Nanoparticelle di Diossido di Titanio.
Le Nanoparticelle, infatti, hanno un effetto negativo sulla salute riproduttiva dell’uomo, con conseguente alterazione del liquido seminale. L’uso del Diossido di Titanio nel settore cosmetico, farmaceutico ed alimentare, contribuisce alla sua internalizzazione nel corpo umano e non solo.
Queste nanoparticelle sono in grado di danneggiare il Dna degli spermatozoi e attivare i biomarcatori dello stress come le metallotionine e HSP70. Le Nanoparticelle metalliche sono in grado di alterare la biosintesi degli ormoni sessuali, la struttura dei testicoli e l’adesione cellulare dell’epitelio seminifero.
Nello studio è stato evidenziato il cambiamento nella membrana degli spermatozoi esposti a 500 ppm (parti per milione) di Diossido di Titanio, permettendo la sua internalizzazione e fungendo da distruttore endocrino. L’esposizione a 500 e 250 ppm al Diossido di Titanio provoca anche il danneggiamento del Dna che ha come risultato la frammentazione e la perdita di integrità.
Per diminuire gli effetti indotti da queste sostanze è bene utilizzare oggetti conformi agli standard dell’Unione Europea e privi di microplastiche, con particolare attenzione al corretto smaltimento dei rifiuti.