Non c’è più tempo per fingere. Non siamo qui

Si è conclusa la rassegna teatrale “Altre Scene” di Zō Centro Culture Contemporanee con lo spettacolo che ha messo in scena una rappresentazione del mondo come luogo dove tutti gli umani sono vittime di un’alienazione quotidiana 

Giuliana Mirone

Il testo, scritto dall’attore, scenografo, regista e drammaturgo Tino Caspanello racconta dell’evasione dal mondo di due esseri umani. 

Cinzia Muscolino e Tino Calabrò interpretano rispettivamente Merilìn e il Signor Pippo, due nomi inventati per celare la loro identità durante la fuga.

Sono loro i protagonisti di Non siamo qui, lo spettacolo con cui si è conclusa la rassegna teatrale “Altre Scene” al Zō Centro Culture Contemporanee.

Una realtà ingannevole

Sul palco, privo di scenografia, non passano inosservati i due personaggi abbigliati con vestiti dai colori sgargianti e luminosi. Apparentemente strambi e buffi, sono accessoriati da pochi oggetti di scena: la borsetta rossa di Merilin e la grande valigia che fungerà da panchina itinerante durante il loro viaggio.

Con un ‘gioco’ di luce e buio, suoni del paesaggio urbano e tracce musicali, i personaggi si muovono nello spazio facendo immaginare allo spettatore, con l’avanzare della narrazione, in che luogo si trovano (stazione del treno, fermata dell’autobus, dentro il vagone, per strada).

Il Signor Pippo e Merilin in attesa del treno.

Il Signor Pippo e Merilin in attesa del treno

Alla ricerca della libertà

La fuga prevede diverse fermate interrotte da numerosi imprevisti che, attraverso l’ilarità e la furbizia dei due, riusciranno a superare. In attesa del primo treno stilano la lista di tutto ciò che il Signor Pippo avrebbe dovuto chiudere, posizionare, appendere e spegnere a casa, facendo capire al pubblico che sarebbero stati via per tanto tempo, chissà dove e chissà per quanto.

Il dialogo tra i due fa gradualmente emergere l'idea che stiano fuggendo da qualcosa di opprimente e limitante. Con parole incisive e cariche di significato, il Signor Pippo dichiara: «Stiamo scappando dalla ceralacca dalla bocca, dalla quotidianità, dai vincitori che non sanno neanche più cosa hanno vinto e su che cosa». Una frase che svela con chiarezza il loro intento di fuggire da ciò che comunemente chiamiamo ‘mondo’.

“Abbiamo sempre fatto finta di vivere”

Gli attori danno vita a una sequenza ciclica di riflessioni, immergendo il pubblico in un dialogo profondo che lo invita a pensare sulla vita e sui limiti autoimposti nei comportamenti quotidiani. Lo spettatore viene così coinvolto e attratto da discorsi profondi, dalle sfumature talvolta poetiche.

«Guardarsi allo specchio e non riconoscersi più. Come se si fosse rotto. Mi sento peggio di frantumata, di smembrata, di scomposta. Mi sento destrutturata. Anzi, mi sento decostruita. Fa tanto male».

Le loro parole, capaci di generare silenzi assordanti in sala, intraprendono anche derive epifaniche: «Basta con le finzioni. Non è più tempo questo. Forse un’altra volta, da qualche altra parte».  
Gli attori, improvvisamente, rimuovono alcuni elementi del travestimento, portando l’attenzione sulla loro vera essenza.

Gli attori si spogliano del loro travestimento per mostrare chi sono davvero

Gli attori si spogliano del loro travestimento per mostrare chi sono davvero

Da quel momento si è creato un coinvolgimento emotivo non indifferente, un connubio di gratitudine e ironica consapevolezza. L’attrice Merilin ha espresso riconoscenza verso chi li ha sostenuti nella vita vissuta fin lì, ma anche verso chi ha scelto di non farlo, trovando valore persino nella rabbia che ha insegnato loro la vergogna. Concludendo, ha rivolto un pensiero a chi ha cercato di controllare ogni aspetto della sua vita, riflettendo sul contrasto tra il tempo percepito e il tempo sfuggente.

Questo momento, lungi dal rappresentare la fine dello spettacolo, è stato un passaggio chiave che ha invitato il pubblico a riflettere sui limiti e sulle emozioni che definiscono l'esperienza umana.

Gli attori, infine, esprimono l'idea che il passato si aggrappi a noi come il fango, un residuo delle nostre esperienze che rimane ancorato anche a distanza di anni. Le parole del Signor Pippo hanno evocato il concetto di ‘mettere radici’, di trovare un luogo sicuro dove fermarsi e attendere, dando al tempo la possibilità di costruire significati più profondi e consapevoli.  «Devi mettere le radici e aspettare», ad esempio, è una frase che dà speranza. 
Insomma, non serve correre o lottare incessantemente per trovare il proprio posto nel mondo. A volte, il silenzio e la pazienza sono gli strumenti che permettono di costruire qualcosa di duraturo e autentico.

Il Signor Pippo toglie la terra dalle scarpe per piantare il fiore che Merilin tiene in mano

Il Signor Pippo toglie la terra dalle scarpe per piantare il fiore che Merilin tiene in mano

Risate e applausi rompono il silenzio

Non siamo qui è uno spettacolo che, nel trattare temi profondi, riesce a bilanciare serietà e umorismo attraverso la comicità degli stessi personaggi. Ciò non sminuisce affatto le tematiche trattate ma alleggerisce l’atmosfera e tiene viva la curiosità del pubblico riguardo cosa accadrà nell’istante dopo.

Merilin e il signor Pippo da personaggi bizzarri si dimostrano presto essere più reali e consapevoli di ciò che li circonda, fungendo così da ponte tra finzione e realtà e rendendo possibile l’identificazione per e con il pubblico. 
Gli attori, in conclusione, hanno saputo trasformare il palcoscenico in uno spazio di introspezione collettiva, dove ogni spettatore e spettatrice poteva ritrovarsi e riflettere sul significato di ciò che lascia traccia nella propria vita. Gli applausi lunghi ed entusiasti hanno celebrato la forza dello spettacolo e la profondità del messaggio, arrivato in modo diretto e toccante.

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