Non più sostenibile, non ancora ecologico

Prendendo spunto dal libro “Inverno liquido”, il saggista Michele Nardelli al Museo di Zoologia si è soffermato sul tema dei cambiamenti climatici

Alfio Russo

«I cambiamenti climatici nella storia del nostro pianeta ci sono sempre stati. Le cause sono chiare, ma è inedito quello che sta accadendo. A noi manca ancora la cultura del limite». 

Michele Nardelli, formatore e saggista, con queste poche parole pronunciate in apertura dell'incontro è andato dritto al punto sgombrando il campo da ogni eventuale dubbio sulla crisi, e soprattutto sulle cause, del rapporto Uomo e Natura.

In un’affollata aula “Guglielmo Longo” della sezione di Biologia animale dell’ateneo catanese, il saggista ha preso spunto dal libro Inverno liquido (Derive & Approdi, 2023), scritto a quattro mani insieme con il giornalista, ricercatore e scrittore Maurizio Dematteis, per trattare il tema dei cambiamenti climatici e soprattutto della debolezza del modello economico attuale, ma anche per favorire la condivisione di conoscenze e diventare interpreti di un cambio di paradigma non più rimandabile.

«Dobbiamo fare i conti con due caratteristiche specifiche ben precise: la prima è il prodotto dell’Uomo sulla Natura e quindi l’Antropocene che investe il nostro modello di sviluppo e di consumi, di relazioni tra le due parti; la seconda è indicata da papa Francesco con il termine rapidacion, ovvero la rapidità attraverso cui avvengono questi cambiamenti e in particolar modo quel rovesciamento del tradizionale disallineamento tra tempi storici e tempi biologici» ha spiegato l’autore dialogando con il docente Rosolino Cirrincione dell’Università di Catania e con il giornalista e scrittore Sergio Mangiameli.

Un momento dell'incontro

Un momento del dialogo con lo scrittore Michele Nardelli 

«Oggi i tempi storici, che tradizionalmente corrono molto velocemente, sono stati superati da quelli biologici. Per cui assistiamo a cose che nelle nostre vite mai sarebbero accadute, non a caso molti anziani che vivono in Emilia-Romagna, colpita duramente nei giorni scorsi, affermano ripetutamente di “non aver mai visto una cosa del genere” – ha spiegato il saggista che è stato presentato dal prof. Giorgio Sabella, responsabile scientifico del Museo di Zoologia -. Questa affermazione significa che si è di fronte ad una condizione totalmente nuova che richiede un cambiamento di paradigma. Non occorrono soltanto azioni per prevenire le cose, ma la capacità di individuare le ragioni che hanno portato alla crisi climatica e tutte le altre che sono connesse e conseguenziali. Dobbiamo interrogarci sul tema del cambio del paradigma che altro non è che la cultura del limite». 

«Ci siamo inventati adesso la parola resilienza non scoprendo nulla di nuovo perché ogni essere vivente, le piante come gli animali e l’uomo, sono per natura stessa resilienti in quanto si adattano alle situazioni con cui abbiamo a che fare – ha continuato -. Per cui non può essere questa la risposta perché la avremmo già incamerata come modalità di essere. Abbiamo, pertanto, bisogno di ripensare l’idea delle magnifiche fonti progressive dello sviluppo, a questa idea di crescita infinita che ci ha portato e ha prodotto questa situazione». 

«La soluzione? Dobbiamo entrare nel merito, capire che siamo andati oltre tutto ciò che era lecito o il rischio è di aggravare sempre di più la situazione – ha spiegato rispondendo alla domanda -. Questo non lo dico io, ma gli scienziati della Commissione sul clima delle Nazioni Unite. Loro sostengono e lo dicono chiaramente che sopra la crescita di 1,5 gradi della temperatura terrestre le conseguenze saranno inimmaginabili. Su queste affermazioni credo che tutti noi dobbiamo svoltare il nostro sguardo sul Pianeta. Non solo il mondo scientifico, soprattutto quello politico. Ma su questo punto siamo in ritardo perché da un lato c’è chi sostiene il primato della scienza e quindi il prodotto del positivismo, dall’altro vi è un mondo politico che vive nel conquistare il consenso senza mettere mano a tutto ciò che avviene attorno».

Michele Nardelli con Rosolino Cirrincione

Michele Nardelli con Rosolino Cirrincione

Un tema che Michele Nardelli ha approfondito evidenziando una frase del suo libro: “Non più e non ancora”. 

«Cosa vuol dire? Semplice! Dobbiamo rendere possibile questo cambiamento di paradigma: il non più è dato da quello che accadrà rapidamente a causa dell’impatto della crisi climatica sul nostro Pianeta – ha spiegato -. Per fare un esempio: il 90% delle stazioni sciistiche in Italia non saranno più sostenibili perché ci sarà sempre meno neve naturale. Già oggi si attinge all’innevamento artificiale, ma per fare questo occorre realizzare i bacini di acqua e un bacino di 120mila metri cubi di acqua ha costi di realizzazione pari a 12 milioni di euro. Questi costi sono sostenuti dal settore pubblico e quindi stiamo assistendo ad una pubblicizzazione dei costi a fronte della privatizzazione dei profitti. A tutto ciò occorre aggiungere i costi energetici di trasporto dell’acqua, dalla valle a monte, perché l’acqua per natura scende. E se all’inizio del 2022 il costo di produzione di un metro cubo di neve artificiale costava 2 euro, alla fine del 2022 siamo arrivati a 7 euro. Ricordiamoci, inoltre, che i ghiacciai dell’arco alpino entro il 2050 scompariranno, almeno quelli sotto i 3500 metri».

«Il non ancora, invece, significa che si dovrà e potrà andare a sciare quando nevica – ha aggiunto, approfondendo il secondo aspetto -. Come è naturale che sia, ovvero sulla base di quella conversione ecologica della montagna. Quel modello di sviluppo improntato sulla monocultura dello sci, rimanendo in tema, va progressivamente messo in discussione per costruire una condizione di pluralità economica nel territorio che permetta allo sci di essere un componente. I cambiamenti climatici in atto sono molto rapidi a fronte del nostro modo di pensare che è più pigro e maggiormente legato a interessi materiali e quindi siamo poco stimolati a realizzare cambiamenti. Occorre accelerare questi processi, a creare un modello di sviluppo ben diverso di domanda e offerta».

Una riflessione che ha spinto a vedere la situazione siciliana con l’intervento di Francesco Picciotto, responsabile della sezione Aree naturali protette del Dipartimento dell’ambiente della Regione Siciliana, che ha evidenziato come «dal Report di Legambiente emerge che gli impianti sciistici sull’Etna sono stati distrutti 7 volte in 25 anni e che sulle Madonie, proprio per la mancanza di neve, già 30 anni fa si parlava di realizzare impianti sostenuti da innevamento artificiale».

Un momento della visita al Muzoo

Da sinistra Fabio Viglianisi, Sergio Mangiameli, Rosolino Cirrincione, Michele Nardelli, Giorgio Sabella, Francesco Picciotto e Marco Viccaro

E sul tema della muntagna il saggista Michele Nardelli, già presidente del Forum trentino per la Pace e i Diritti Umani e co-fondatore di Osservatorio Balcani Caucaso - alla presenza di Marco Viccaro, presidente dell'Associazione Italiana di Vulcanologia -, ha evidenziato come oggi sia importante «re-immaginarla riabitandola in modo ecosostenibile nel rispetto della natura». 

«Stiamo assistendo sempre più ad una migrazione dei giovani verso la montagna, un ambiente più salubre, più tranquillo, magari con meno servizi. Se pensate, stando ad alcuni dati statistici, che nel 2040 la città di Lagos in Nigeria conterà 80 milioni di abitanti. Chi e come dovrà vivere una persona in una città di queste dimensioni? – ha aggiunto -. Altro aspetto non indifferente: nel 2022 la presenza delle persone sulla Terra ha superato gli 8 miliardi di abitanti che per vivere consumano risorse pari al doppio di quelle presenti sul Pianeta, per esattezza 1,8. È chiaro che si tratta di condizioni non più sostenibili e in parte frutto di quella politica di 50 anni fa, mai realizzata, basata sulla distribuzione delle risorse in modo equo nel continente». 

«Dobbiamo quindi riconsiderare la quantità e la qualità delle risorse e soprattutto il nostro rapporto con la natura. Esistono dei limiti che non possiamo più superare e per questo si necessita di una nuova cultura improntata, alla luce dei cambiamenti climatici, sul rispetto dell’ambiente e di tutto ciò che ci circonda» ha detto in chiusura l’autore prima della visita guidata al Museo di Zoologia grazie a Fabio Massimo Viglianisi, responsabile delle attività didattiche e divulgative del Muzoo.