Othello 2.0: il dramma antico nella maschera del moderno

Al Teatro Massimo Bellini la danza febbrile di passioni di Amilcar Moret Gonzalez che intreccia Shakespeare e Vivaldi con le armonie ferite di Max Richter e Ezio Bosso. In un adattamento di Marina Marchione con le architetture di Eva Adler e gli abiti di Angelo Alberto

Giada Apa

Il destino di Otello arde ancora sotto la cenere dei secoli: gelosia, razzismo e ambizione riscrivono la tragedia nel linguaggio del corpo. L’eternità dei classici risiede nella loro capacità di parlare al presente con voce sempre nuova, Othello 2.0 diviene una potente rilettura in danza della tragedia shakespeariana.

L’opera segna il debutto nel balletto a serata di Amilcar Moret Gonzalez, che nella produzione del Ballett Kiel non solo firma coreografia e visione scenica, ma incarna con intensità il tormentato protagonista shakespeariano. Al suo fianco, la danzatrice catanese Virginia Tomarchio, eterea e vibrante Desdemona, dà corpo e anima a un amore destinato alla rovina. Un’opera che non si limita a evocare il passato, ma lo rifrange nel nostro tempo con la forza di una denuncia emotiva e sociale.

Il sipario si apre sul silenzio e sull’oscurità: corpi immobili, sospesi come presagi, mentre sul fondale si animano le ombre, proiezioni dell’inconscio, che si cercano, si sfiorano, si fondono. È un prologo visionario, dove la danza si fa riflesso e sogno. In questa rilettura Otello non è più il condottiero veneziano delle antiche battaglie, ma un uomo d’affari del mondo contemporaneo – carismatico, brillante e nero.

Non parte per la guerra, ma vola a Parigi, in un tempo che parrebbe moderno, ma che custodisce gli antichi veleni. Il suo amore per Desdemona, donna bianca, pura e libera, si infrange contro il muro invisibile di una società che, sotto l’abito elegante del presente, non ha ancora dismesso i panni della paura e del pregiudizio.

In scena domina una sobrietà colma di significato, una privazione dell’eccesso che esalta, proprio nella misura, l’intensità emotiva dell’opera. Ogni elemento – dal video impiegato con fine intelligenza evocativa alle scenografie ridotte all’essenziale – concorre a costruire un’estetica elegante, dove nulla è superfluo.

Un momento dello spettacolo

Un momento dello spettacolo

Othello 2.0 non si limita a scandagliare gli abissi della gelosia o le ombre dell’animo umano: al centro pulsa anche l’amore, in tutta la sua fragile luminosa pienezza. Straordinariamente poetico il momento del matrimonio tra Otello e Desdemona, in cui appare Christopher Carduck nei panni del Sacerdote, figura ieratica che partecipa all’unione degli amanti, come un’anima che si fa ponte sacro tra due destini.

A suggellare l’attimo, la figura del cerchio ‒ archetipo antico e universale d’unione eterna ‒ torna a vibrare sul palcoscenico, carico di simbolismi che attraversano le civiltà e il tempo. Un gesto coreografico che si fa mito, un segno che sussurra l’eternità dell’amore. Ma il sogno non tarda a frantumarsi. La figura di Iago, incarnata con intensità magnetica da Didar Sarsembayev, interpreta una gelosia che scarnifica, un’invidia corrosiva, un’ambizione cieca che si nutre della rovina altrui.

A contrapporsi, seppur prigioniera di un destino avverso, la figura di Emilia, affidata alla straordinaria Leisa Martìnez, che restituisce con dolorosa verità il tormento di una donna spezzata, soggiogata dal dominio maschile, seppur già sul crinale della ribellione. Tra i due si consuma una scena di struggente potenza: una cucina spoglia, silenziosa come un altare sacrificale, dove la musica si interrompe ma sono i corpi a parlare.

I movimenti sono secchi, nervosi, carichi di rabbia e paura, i suoni che generano provocano una ferità nell’aria. Emblematico il coltello che Iago brandisce, oggetto tangibile ed emblema di minaccia, violenza e morte. È in questa spirale che viene trascinato l’ignaro Cassio, interpretato con limpida energia da Rauan Orazbayev.

Inchino finale al termine dello spettacolo

Inchino finale al termine dello spettacolo

A suggellare il tradimento non è più il celebre fazzoletto shakespeariano, ma una sciarpa bianca, che diventa nuovo segno del sospetto e veicolo di rovina. È il dettaglio che semina e conferma in Otello il germe dell’odio, trasformando l’amore in ossessione, la fiducia in cieca furia. Gelosia, ossessione, timore e sfiducia: sentimenti che si fanno carne, figura, presenza.

Non solo si narrano, ma appaiono, danzano, si materializzano sulla scena attraverso corpi che non sono più danzatori, ma ombre — ombre del sospetto, proiezioni dell’anima inquieta di Otello, che si contorce nel dubbio come in una febbre senza remissione. Tali visioni trovano compimento in una scena di grande forza sensuale: una sauna rarefatta, quasi onirica, dove Otello, smarrito nella vertigine del sospetto, riconosce il volto di Desdemona in ogni donna che lo circonda.

È il trionfo della psiche deformata, della passione che, corrotta, si tramuta in allucinazione. Ma tutto ciò non placa il tormento, non spegne l’incendio. E così si giunge al tragico epilogo, reso con una scelta scenica di sorprendente delicatezza e crudele essenzialità. Il gesto fatale non esplode, ma si consuma nell’ombra, dietro un piccolo sipario che cela l’atto, lasciando allo spettatore solo il presagio e l’eco.

Otello stringe il collo di Desdemona, e subito il velo cala. La morte avviene fuori dallo sguardo, rapida, silenziosa, come un respiro che si spegne. Ed è proprio in questa sottrazione visiva che il dolore si fa più acuto, quasi sacro. Il resto, lo si direbbe già scritto. Eppure, ogni volta, rinasce.

Othello 2.0, andato in scena dal 2 all’8 maggio, ha saputo riaccendere l’antico dramma con nuove luci. Video evocativi, una Parigi contemporanea — quella rarefatta del Louvre — come sfondo, costumi moderni che raccontano il nostro tempo. Ancora una volta, il Teatro Massimo Bellini si fa crocevia di epoche, luogo fertile dove l’eterno incontra l’attuale, e la tragedia si fa specchio del presente.

Parte del Ballet Kiel

Parte del Ballet Kiel

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