Pest(e) a Buda. Battaglia per la Groenlandia

Lo spettacolo di Paolo Toti, autore e attore catanese, è andato in scena da Scenario Pubblico

Sofia Bordieri (foto di Corrado Carrubba)
Paolo Toti "Amleto" in Pest(e) a Buda
Paolo Toti "Amleto" in Pest(e) a Buda
Paolo Toti "Amleto" in Pest(e) a Buda
Paolo Toti "Amleto" in Pest(e) a Buda

Ispirato all’Amleto di Shakespeare, Pest(e) a Buda si articola tra la voce fuori campo di Chiaraluce Fiorito, una possibile Ofelia, e un denso monologo pronunciato da Paolo Toti, un Amleto che tenta di fuggire dal suo contesto originario per ritrovarsi, come attraverso un salto temporale, nella contemporaneità.

La scena è occupata da una serie di elementi che rievocato i «bassifondi di una città moderna», recuperando evidenti tracce della Gotham City del film Joker di Todd Phillips. 

Tra neri sacchi di immondizia sparsi sul pavimento emergono alcuni oggetti dalle tinte pop: un carrello da supermercato rosa, una sedia azzurra sospesa a pochi centimetri dal suolo, un bambolotto Cicciobello privo di una gamba e anch’esso sospeso a mezz’aria, una lampada basculante la cui luce si inserisce nel sapiente e affascinante disegno illuminotecnico creato da Sammy Torrisi. Un elmo trapassato da un’ascia blu è l’elemento più legato all’ambientazione dell’Amleto, insieme a una spada dal sapore medievale. 

Particolarmente evocativi sono i tre pannelli verticali disposti sul fondo della scena: ai lati, sui frammenti di un muro scrostato, sono raffigurati uno spettro, dei teschi, tipici graffiti da street art e i nomi travisati di grandi multinazionali, come Sadzone (Amazon), Fakeflix (Netflix) e Giggle (Google). 

Sul pannello centrale, invece, è riportata la gigantografia di un volto androgino lacrimante da cui è scivolata giù una maschera, accennato soltanto da un disegno minimale. Infine, sul lato sinistro del palco è posizionata una lavagnetta su cui Toti-Amleto, scrivendo con un gessetto bianco, scandisce lo spettacolo in cinque momenti-atti: Assedio, Ofelia, Scherzo, Peste, Millenni

A introdurre la sua performance è la voce di Ofelia che, parlando dal fuori campo, esordisce con «il teatro ha il compito di abbattere le maschere» e poi prosegue con una serie di enunciati legati alla funzione espressiva del mezzo come «Il teatro mostra bellezza e verità». 

La voice off di Ofelia funziona da cornice introduttiva all’apparizione del protagonista Amleto, che, nel corso del suo monologo, talvolta si interrompe per dialogare con lei. 

Con un dettato drammaturgico fittissimo, mai statico nell’espressione corporea e nell’interazione con gli oggetti di scena, l’attore ripercorre le tragiche vicissitudini di Amleto che lo hanno portato a scindersi, a diventare un saggio-folle con «mille io» dentro di sé. 

Toti sfibra, con l’avanzare degli atti, il tessuto drammatico della tragedia originaria, innestandolo sempre di più con elementi legati all’alienazione socio-culturale della nostra epoca, senza eliminare mai i parallelismi con l’opera di Shakespeare la quale, dunque, alla fine diventa quasi un pretesto.

Paolo Toti "Amleto" in Pest(e) a Buda

Paolo Toti "Amleto" in Pest(e) a Buda (foto di Corrado Carrubba)

Nel terzo atto, Scherzo, il principe di Danimarca si trucca da pagliaccio e indossa un cappello da Giullare, cantando e parlando in francese, inglese e spagnolo e rappresentando, così, un disturbo disforico identitario che diventa, con l’incursione poliglotta, oltre che personale anche sociale, globale. 

Nel quadro seguente, Peste, lo schermo di un televisore è illuminato da un intenso occhio di bue e si ascolta una traccia sonora costituita da un patchwork di registrazioni televisive tratte da programmi contenitore, pubblicità e telegiornali che, giustapposti, conferiscono un forte senso di drammaticità e alienazione. 

Una scena topica dell’Amleto shakespeariano viene allora rievocata: tenendo in mano un teschio, che emana luci stroboscopiche, Amleto si chiede come da tradizione «Essere o non essere? Questo è il problema». 

Ma la domanda muta subito dopo in «Agire o non agire? Questo è il problema», e continua con «Io sono Amleto, io ero Amleto, io sono la banca dati». Un Amleto nell’era informatica e capitalistica, insomma, che conclude il suo viaggio isterico seduto su un wc di polistirolo. 

Mentre è intento a scrollare lo schermo dello smartphone improvvisamente è colpito da un lampo di lucidità, da un impulso di emancipazione del «cuore delle tenebre» e si alza per lanciare un grido di speranza: «Non può finire così, posso ancora farcela, possiamo ancora farcela!». 

Qui sopraggiunge la traccia Where is my mind del gruppo statunitense Pixies, alle cui note si mescolano i calorosi applausi del pubblico.

Attraverso una serie di rimandi alla vicenda shakespeariana, inserzioni musicali tratte anche dai Muse e dai Red Hot Chili Peppers, e naturalmente la notevole capacità attoriale di Toti, la storia tragica di Amleto diventa quella di ognuno di noi, dell’intera società occidentale. 

Superando la soglia di una recitazione tradizionale l’attore utilizza un parlato non canonico e curato, a cui alterna momenti di danza, talvolta un po’ troppo autonomi rispetto all’azione scenica. La partitura gestuale di questi momenti, probabilmente, soffre la mancanza di un occhio esterno esperto che ne possa garantire la resa.

Tuttavia, considerata l’operazione globalmente curata da Toti, disposto e predisposto con la sua fisicità al movimento coreutico, anche questo tentativo di teatro-danza non può che prospettarsi florido per future sperimentazioni.