La regista di “Devoti tutti” ha tenuto un incontro con studentesse e studenti del Disum sul film dedicato alla città di Catania e alla sua patrona
L’evento, dal titolo Esercizi di memoria - riti, paesaggi e pratiche artistiche, a cura di Stefania Rimini (docente di Cinema al Dipartimento di Scienze umanistiche) e realizzato nell’ambito del Cine Campus, in collaborazione con il Catania Film Festival 2023, ha visto la proiezione della pellicola Devoti tutti (2023), ambientata nella città etnea, tra il 3 e il 5 febbraio. In questi giorni, infatti, si celebra la festa della patrona con il passaggio del fercolo per le strade.
Il film
Il film dedica ampio spazio alle immagini della festività agatina, organizzata ogni anno in suo onore e memoria. La realizzazione della pellicola combina riprese dal vivo a sequenze d’animazione, dedicate alla santa patrona.
Introducendo l’opera, Bernadette Wegenstein ha presentato al pubblico due chiavi di lettura: la prima è che la violenza non si dimentica, come mostra la scena dei seni, raffigurati come uccelli in volo, rappresentanti i segni della violenza che nonostante il tempo non vanno via; la seconda è la visione femminista, il trauma (con tutte le sue fasi psicologiche) spiegato direttamente da chi l’ha vissuto, e proprio grazie all’arte, la regista ha dato voce e corpo a Sant’Agata.
Prima del workshop, con Simona Scattina (docente di teatro presso il Disum) è stato osservato un minuto di silenzio per ricordare le 150 vittime di femminicidio da gennaio a novembre 2023, e soprattutto la studentessa dell’Università di Padova, Giulia Cecchettin, uccisa a pochi giorni dalla laurea. La studiosa, che ha collaborato alla realizzazione dell’incontro, ha tenuto a ricordare il paradosso del racconto teatrale della storia di Agata, rappresentato in passato dal solo punto di vista maschile, anche se in ottica anti-tirannica, con l’opera Quinziano di Antonio Aniante (2005).
La proiezione di alcune scene di “Devoti tutti” (2023) al Disum
Dalla prospettiva di Sant’Agata
Nel film vengono quindi analizzate tematiche importanti, come la lotta contro la violenza di genere e la libertà della donna (lo ha ricordato la produttrice e direttrice del festival Sguardi altrove Patrizia Rappazzo presente durante il workshop). La stessa Agata esprime le sue preoccupazioni e i propri pensieri, mentre viene salutata, toccata e baciata dai devoti, che la portano in alto per le vie della città.
Patrizia Rappazzo ha conosciuto Bernadette Wegenstein nel 2020, intercettando casualmente il suo progetto, quando ancora non era un film. Di origini catanesi, ma al lavoro a Milano, ha sfruttato l’occasione per portare il film in un festival dedicato da sempre al cinema delle donne ma ha anche– come dichiarato dalla stessa – riportato così alla sua città catanese e ai suoi abitanti, il cuore della storia e il tema della violenza e dell’amore malato.
La voce della santa, interpretata da Donatella Finocchiaro, pronuncia frasi che ne mostrano il lato umano ed emotivo: «Questi mi hanno preso come un idolo, ma io non sono un idolo. Io sono una persona come loro. No, io non sono come loro. Ma chi sono io? Non lo so chi sono io». E ancora: «Ma se smettessi di fare la santa chi si occuperebbe di loro?».
Non a caso, Simona Busni (ricercatrice di cinema presso il Disum Unict) sull’immagine della santa vista da fuori ha suggerito un parallelismo quasi con una forma di divismo cinematografico decostruito dal film.
L’aula del Disum di Unict trasformata in sala da proiezione durante il workshop
La tecnica
Giovanna Santaera (assegnista di ricerca in Cinema al Disum di Unict) ha dialogato con Wegenstein sui motivi per cui nel film non si sentono suoni o canti tradizionali, se non alla comparsa dei titoli. La regista, consapevolmente, ha deciso di ovattare il sonoro, soprattutto durante la famosa invocazione «Cittadini! Siamo tutti devoti tutti?! Cittadini! Cittadini!», pronunciata a partire dalla ‘camera’ di Sant’Agata.
Il silenzio esterno serve, secondo la regista, per evidenziare il suo punto di vista e non quello del popolo pronto a trainarla per la città, per lo più maschile. Sant’Agata viene però circondata dall’affetto che l’uso di una composizione musicale di Schubert (rivisitata) la riporta all’infanzia suscitandole la tenerezza del motivo cantato dalla madre.
Nel film, alla documentazione etnografica della città contemporanea, si affiancano anche alcune riprese storiche dall’archivio dell’Istituto Luce, non quante ne avrebbe volute inserire l’autrice, per via dei costi. Il riuso di materiali d’archivio ha comunque ̶ secondo Wegenstein ̶ rappresentato un «motivo centrale» per confrontarsi con la festa nel tempo e soprattutto scoprire usi dimenticati, come l’esposizione dei bambini.
Un momento del workshop con la regista Wegenstein
Alla domanda «sono state complicate le riprese?», la regista risponde: «La città era già in scena, io dovevo solo aprire la macchina di ripresa». Ma l’animo catanese, ricco di contraddizioni, era già evidente ai suoi occhi.
Durante le domande alla regista, molto disponibile nello scambio di informazioni sul versante pratico e organizzativo delle riprese, uno studente ha chiesto quale rapporto avesse costruito con il cast e come si fosse sentita. La regista ha confessato di essersi sentita come a casa e ha, inoltre, affermato di aver instaurato un bel legame con le protagoniste, al di fuori del contesto professionale, condividendo con loro riflessioni e commenti sulla realizzazione del film.
Il film riesce a dare voce alla libertà grazie alla Finocchiaro ma anche a liberare il corpo di Agata per sottolineare il bisogno di ricominciare a vivere tramite l’animazione. A rappresentare la patrona, attraverso la tecnica animata del rotoscopio, appreso dalla Disney ma adattato nei colori alle sfumature del «barocco catanese», è la figlia della regista, che ha condiviso con lei la scoperta della storia agatina, dando al racconto un portato e un carattere anche «familiare».
La regista Wegenstein in dialogo con gli studenti del Disum di Unict
Affrontare il tema della violenza in un workshop di cinema all’università è stato sicuramente formativo e importante per lasciare dentro ciascuno una riflessione sulla condizione, sempre attuale, della prevaricazione maschile sulla donna e sulla lotta per la libertà di pensiero e di scelta.