In occasione del mese dedicato alla consapevolezza sulla violenza contro le donne, al Monastero dei Benedettini si sono intrecciate voci ed esperienze di chi lavora ogni giorno per prevenire e contrastare il fenomeno
Novembre è il mese in cui ricorre la giornata per l’eliminazione della violenza contro le donne e il Dipartimento di Scienze umanistiche dell’Università di Catania in collaborazione con l’Associazione La Finestra e il Centro Antiviolenza Galatea, ha organizzato la conferenza Se domani tocca a me - La violenza di genere esiste e va contrastata con la conoscenza che si è tenuta nell’aula 75 del Monastero dei Benedettini.
Un momento di grande impatto emotivo e culturale, in cui istituzioni ed esperti si sono uniti per affrontare il drammatico fenomeno del femminicidio e della violenza di genere.
La prof.ssa Marina Paino, direttrice del Disum, ha espresso gratitudine verso le organizzatrici dell’evento per aver promosso una riflessione studentesca su un tema così rilevante e ha evidenziato come «la conoscenza e la partecipazione siano strumenti essenziali per decostruire un problema radicato in una cultura patriarcale».
Nel suo intervento ha evidenziato la presenza di molte studentesse, ma anche di studenti, a dimostrazione di una crescente consapevolezza collettiva sull’importanza di questi temi. Ha poi sottolineato come il «dipartimento sia un contesto non solo sensibile, ma anche concretamente impegnato nell’ascolto e nel sostegno della comunità studentesca». In chiusura ha ricordato che denunciare è un diritto e che esistono figure all’interno dell’ateneo, come il Garante degli studenti e i consiglieri del rettore, pronti ad accogliere e a intervenire tempestivamente in caso di segnalazioni su qualsiasi forma di violenza.
Dopo i saluti di Federica Cosentino, senatrice accademica e rappresentante dell’associazione La Finestra, i lavori sono stati introdotti da Grazia Vittorio, rappresentante della stessa associazione in seno al comitato per lo sport universitario. La moderatrice ha posto l’accento sull’importanza della consapevolezza e dell’educazione per contrastare la violenza e sull’urgenza di agire «perché ogni giorno che passa, qualcuna di noi potrebbe essere la prossima vittima».
Un momento dell'incontro
Tra gli interventi più toccanti, quello di Vera Squatrito, madre di Giordana Di Stefano, vittima di femminicidio nel 2015. La sua testimonianza ha svelato le dinamiche devastanti della violenza psicologica e fisica che la figlia ha subito, segnalando come la società e le istituzioni abbiano spesso fallito nel proteggere le donne. «La violenza psicologica è un’arma invisibile ma potentissima», ha dichiarato, ricordando il coraggio della figlia che, nonostante tutto, aveva denunciato il suo aggressore.
Le rappresentanti del Centro Antiviolenza Galatea– Loredana Mazza, Veronica Sicari e Vincenza Bifera – hanno illustrato il loro impegno quotidiano nell’assistenza psicologica e legale delle vittime che al centro chiedono aiuto e sostegno grazie ad operatrici esperte e specializzate (contatto: +393339000312, attivo 24 ore su 24).
Loredana Mazza, presidente del Centro, ha rilevato l’importanza di nominare e riconoscere il problema: «parlare di violenza di genere significa iniziare a combatterla». Veronica Sicari, avvocata che si occupa della tutela delle vittime di violenza di genere, ha invece descritto l’evoluzione normativa dal Codice Rosso alle più recenti disposizioni legislative, illustrando dettagliatamente tutte le fasi dei procedimenti penali di chi sceglie di denunciare il proprio carnefice.
Nel corso del suo intervento, quindi, non solo ha messo in risalto l’inefficacia di alcune leggi adottate finora, ma ha anche e soprattutto evidenziato i nuovi, e migliori, provvedimenti normativi introdotti in seguito al caso Giulia Cecchettin.
Vincenza Bifera ha condiviso dati e analisi criminologiche sul fenomeno del femminicidio – da lei definito «un crimine annunciato e spesso preceduto da segnali trascurati» – atti predittivi che sono stati a fondo spiegati con l’obiettivo di educare i giovani partecipanti a riconoscere ciò che amore non è.
Un momento dell'incontro
Le ultime analisi e riflessioni sono state affidate alla professoressa Claudia Cantale, esperta di media e linguaggio, che ha evidenziato come i mezzi di comunicazione contribuiscano, spesso inconsapevolmente, a perpetuare stereotipi di genere e ad aumentare la gravità della violenza. La docente ha invitato a un uso responsabile del linguaggio, affinché termini come “femminicidio” si stabiliscano nel dibattito pubblico e mediatico, e in particolare in quello giornalistico. Ha criticato espressioni su titoli di articoli che mascherano la violenza con un linguaggio romantico e giustificatorio; un esempio su tutti è il titolo che più occorre nei quotidiani a sostituire la parola femminicidio: “uccisa per amore”.
Attraverso l’educazione sociale – che comprende la diffusione di informazioni, la decostruzione di stereotipi di genere e l’insegnamento del rispetto reciproco – è possibile prevenire situazioni di abuso e promuovere relazioni sane e paritarie. In uno stato di diritto come il nostro, una cultura basata sul rispetto non si costruisce solo con leggi e sanzioni, ma richiede un cambiamento profondo nelle mentalità collettive, che può essere raggiunto solo attraverso un’azione educativa capillare e continua, a partire dalle scuole e dai luoghi di formazione, per raggiungere l’intera società. L’auspicio di tutte le relatrici è, dunque, che l’educazione sociale e affettiva venga istituzionalizzata già nelle scuole per interrompere “il ciclo della violenza”.
Un momento dell'intervento della prof.ssa Claudia Cantale
Sulle parole che Bell Hooks ha scritto in La volontà di cambiare, mascolinità e amore la conferenza si è conclusa:
La verità è che abbiamo bisogno degli uomini nella nostra vita, che gli uomini fanno parte della nostra vita a prescindere dalla nostra volontà, che abbiamo bisogno di loro per sfidare il patriarcato, che abbiamo bisogno di loro per cambiare. […] Non è vero che gli uomini non sono disposti a cambiare. È vero che molti di loro hanno paura di cambiare. È vero che molti non hanno nemmeno cominciato a riflettere sul fatto che il patriarcato impedisce loro di conoscere se stessi, di essere in contatto con i propri sentimenti, di amare. Per conoscere l’amore, gli uomini devono essere capaci di rinunciare alla volontà di dominare. Devono essere in grado di scegliere la vita piuttosto che la morte. Devono essere disposti a cambiare.
Non possiamo più voltarci indietro, che questa verità ci guidi nel cambiamento.