L’edizione 2025 di Villa Pennisi in Musica ha scelto di dedicare una mostra fotografica al compositore, raccontando di lui attraverso lo sguardo del fotografo Flavio Ianniello
Ezio Bosso. Jacitano contro mano è il titolo della mostra curata da Flavio Ianniello, fotografo ufficiale di Villa Pennisi in Musica. Tra sguardi, rapporti, energie e sensazioni, la mostra è stata aperta al pubblico al Living Lab del Palazzo del Turismo di Acireale dal 31 luglio al 7 agosto e poi visitabile a Villa Pennisi dall’8 al 13 agosto.
Chi era Ezio Bosso? Contrabbassista, pianista, compositore, direttore d’orchestra. Personaggio eclettico eppure vicino alla gente. Noto? Io ho conosciuto prima le sue composizioni del suo volto o della sua biografia. Musica che entra nelle viscere, e l’energia che suscita non ti lascia com’eri, la stessa energia che metteva nelle relazioni, nelle composizioni, nell’affrontare anche la malattia.
Raccontare questa grande personalità non è cosa semplice. Le arti insieme possono rendere aperto l’approccio al racconto; nella mostra, musica e fotografia si fondono e, nel silenzio, possiamo ascoltare il suono della sua vita…tutta armonia! In dialogo con Flavio Ianniello ripercorriamo le linee del ritratto fotografico di Ezio Bosso.
Uno degli scatti presente alla mostra
Da fotografo di moda a fotografo di scena per musica classica. Come hai conosciuto Ezio Bosso?
“Ezio Bosso lo conosco qui, ad Acireale, nel 2016, grazie a David Romano. L’antefatto è che con David ci conoscevamo, di vista. Io ero fotografo all’Accademia Santa Cecilia. Quell’anno faccio una mostra su un progetto collettivo di danza contemporanea, un lavoro a sei mani. David viene a vedere la mostra all’auditorium del Parco della Musica di Roma, e si concentra su poche foto in particolare di cui mi chiede l’autore. ‘Ha un occhio storto che mi piace’, mi dice. L’autore ero io. Poco tempo dopo mi scrive e mi propone di partecipare a questo Festival in Sicilia, mi spiega i contenuti, mi dice che c’è Ezio Bosso. Accetto dunque. Proviamo, mi dico. L’estate 2016 è l’estate in cui conosco Ezio Bosso, dunque. Lo conoscevo solo di nome. Non ho la tv e non la guardo. Sui giornali avevo letto di lui. Lo conoscevo più per le sue produzioni musicali di musica classica con Salvatores, ma non conoscevo la sua fama, il personaggio che era diventato mediaticamente".
"David mi anticipa che Ezio è un tipo un po’ particolare e, nell’ambiente, si sa che bisogna fare attenzione…o è amore totale o sono dolori! David organizza questo incontro con Ezio, prendiamo una birra sotto il carrubbo a Villa Pennisi; ci introduce, iniziamo a parlare; dopo poco David si allontana e ci troviamo soli, io ed Ezio, dalla musica alla fotografia, a parlare di poesia e di tanto altro senza accorgercene. Avevamo capito già come lavorare insieme. Ezio, già non stava bene. Fotografarlo era delicato perché significava fare attenzione al tipo di scatto, all’immagine che di lui veniva fuori. Gli scatti venivano sempre controllati, selezionati e autorizzati. Alla prima prova concerto, venne fuori uno scatto ‘etereo’. La foto non uscì (oggi è tra gli scatti della mostra); curiosamente, poi, in accordo con la famiglia Bosso, con David Romano, con Tommaso (nipote di Bosso), con case editrici, abbiamo deciso di utilizzarla come prima pubblicazione post Ezio”.
Uno degli scatti presente alla mostra
“Sono tutte si!”, diceva Ezio. Perché?
“Dopo quella prima sessione pre-concerto, la mattina dopo ci diamo appuntamento sempre allo stesso bar per mostrargli le foto. Per prassi, lo faccio sempre. Ezio si ritrova, senza capire perché, a guardare le foto ‘bellissime’, mi diceva. ‘Forse queste con un po’ più di contrasto’, spiegava. Continuavo a fargli vedere le foto e lui mi guardava come a dirmi: 'Ma che devo dirti? Sono tutte si!' Con Ezio ci siamo incontrati anche in luoghi più accademici e questa frase ricorre sempre. Ezio si fidava, gli piaceva non solo il mio sguardo. La fotografia finale è un processo; ciò che tu vedi è una cosa, poi c’è l’editing; come in tutti i lavori, puoi migliorare o peggiorare o, addirittura, vanificare o meno un lavoro. Ciò che è importante è quello che decidi di non far vedere. Io dico spesso che quello che non si vede non c’è; si tratta di sensibilità".
"Nella nostra ultima chat (eravamo all’accademia Santa Cecilia), gli scrivo di controllare le foto; Ezio, preso da mille cose, non mi risponde subito; mi faccio insistente e gli scrivo che l’ufficio stampa attende le foto, la Comunicazione ha bisogno di scrivere sul concerto, bisogna uscire sui social. Lui mi scrive: 'Cosa devo fare?'. Lo sai, Ezio, mi devi confermare quali foto vuoi che vengano pubblicate. E lui: ‘Ma lo sai…sono tutte si!’, ripeteva”.
Uno degli scatti presente alla mostra
Villa Pennisi in Musica. Com’è cambiata la tua fotografia da “prima con Ezio” e “dopo Ezio”?
“Per me è stato un periodo molto importante, anche di scelte importanti. Con Ezio, andare a fare colazione o una cena, non ci si annoiava mai, teneva svegli tutti fino all’alba, si parlava di qualsiasi cosa a livelli molto alti; era una persona curiosa, vorace, che ti metteva davanti ai tuoi limiti, quasi come se fossi di fronte ad uno specchio; ti invogliava a crescere, a fare meglio: ‘Cosa stai facendo? Come lo stai facendo?’, senza domande dirette. Attraverso Ezio, ho iniziato a riflettere sul mio lavoro; le chiacchierate con lui erano un confronto con sé stessi, dentro si sé, dentro la professione".
"Dopo Ezio ci si è chiesti come comunicare, cosa comunicare di Ezio. È iniziato un lungo percorso dentro gli archivi fotografici e, nel frattempo, un ripercorrere il mio cammino fotografico che, dal primo anno a Villa Pennisi ad oggi, è cambiato, molto più in questi ultimi che in tutti i vent’anni precedenti. Questo Festival, Ezio Bosso, attraverso questa introspezione collettiva attraverso la mostra fotografica ha accentuato molto il mio carattere. Il dopo Ezio, inizialmente, è stato destabilizzante per tutti. Ci vedevamo qui, arrivavano i cartoni di birra Castello che lui beveva ma…dov’è Ezio? Per fortuna ci ha lasciato tanta musica e un grande testamento umano. Andiamo avanti”.
Il titolo della mostra è: “Ezio Bosso. Jacitano contro mano”. Perché?
“Uno dei primi anni che Ezio venne ad Acireale, ci raccontò che si ritrovò ad andare in giro per Acireale. Si ritrovò in un vicolo in salita alla fine del quale c’erano delle scale. Non gli era possibile andare avanti ed era altrettanto difficile girare la sedia a rotelle, giacché in salita. Raccontava di essersi trovato contromano e la rima migliore che trovò con ‘contromano’ fu ‘jacitano’. Un termine che scoprì, poi, non essere molto amato dagli acesi. Finì con l’essere aiutato da jacitani di passaggio, ma rimase come aneddoto divertente che spesso raccontava anche durante i concerti, l’essere diventato uno Jacitano contromano”.
Qual è il regalo più grande che ti lascia Ezio?
“Il lascito più grande è avere avuto la fortuna di ritrovarmi un corpus di immagini dell’ultimo periodo più bello di Ezio. Questo mi è stato detto da Tommaso Bosso, dalla famiglia. Le foto a Villa Pennisi sono state usate molto perché Ezio diceva essere molto felice in quella fase; la foto che lo ritrae mentre gioca a ping pong ci dice quanto si sentisse a casa qui. Qualcuno parla della fotografia come un eterno istante, se a questo istante che è memoria, ricordo, ci aggiungi anche la musica di Ezio, puoi immaginare, ogni volta che vedo una delle foto che ho fatto, che sono esposte, o ascolti un brano di Ezio, come il duo immagine e fotografia giri dentro la mia mente”.

Il fotografo Flavio Iannello, scatto di Carlotta Libonati