Tra gli abissi dell’umano

La letteratura di Joyce Carol Oates al Taormina Book Festival. La scrittrice e accademica statunitense ha presentato il thriller Babysitter

Alessandro Di Costa

In dialogo con Farah Nayeri, giornalista del New York Times, a Taormina, Joyce Carol Oates ha parlato del suo thriller Babysitter, edito in Italia da La nave di Teseo. 

Mescolando con eleganza cronaca e fiction, il romanzo racconta la storia di Hannah Jarrett, una trentanovenne, madre di due bambini, sposata con un uomo d’affari. Dietro la vita matrimoniale apparentemente perfetta della protagonista si nasconde però una realtà ben diversa, dominata dall’indifferenza del marito e da una routine monotona; sullo sfondo, la Detroit degli anni Settanta sconvolta da un serial killer che rapisce e uccide adolescenti. 

La donna cerca così di evadere dalla gabbia dorata dell’american way of life, imboccando una strada che si rivelerà – come potrà scoprire chi leggerà il libro – molto pericolosa. L’atmosfera e i fatti narrati sono parte di un trauma collettivo, vissuto anche dall’autrice. Come lei stessa ricorda, «ho lavorato e scritto per alcuni anni nella periferia di Detroit». «In quel periodo c’era un serial killer che uccideva in particolar modo bambini e giovani. Io ho voluto che i miei lettori fossero consapevoli di che cosa significhi vivere nel terrore» aggiunge.

Un momento dell'intervento di Joyce Carol Oates (foto Taobuk)

Un momento dell'intervento di Joyce Carol Oates (foto Taobuk)

Lo stretto rapporto tra cronaca, narrazione e autobiografia è una costante nelle opere di Oates. Interrogata da Nayeri, la scrittrice ha ribadito la sperimentalità del suo lavoro, che fonde fra loro questi tre elementi apparentemente molto diversi. 

Nella sua scrittura, inoltre, una grande importanza sembra rivestire la dimensione del mistero. «Alcuni dei miei testi – ha spiegato l’autrice – sono frutto di finzione, nel senso che ho adottato la struttura tipica dei thriller, avvolta nel mistero. Ciò accade anche nella vita. Per esempio, quando nasciamo, ci ritroviamo in un regno per noi misterioso, dove non conosciamo nulla di ciò che ci circonda. Ogniqualvolta ci relazioniamo con gli altri, all’inizio il rapporto è sempre molto superficiale, ma più andiamo in profondità, più scopriamo delle dimensioni che non conoscevamo prima. La nostra vita è intessuta di mistero». 

Nel corso dell’incontro è stato poi posto l’accento sulla presenza pervasiva della tragedia nei testi della scrittrice, che spesso indagano abissi di umanità e di sofferenza. Se Steiner ha scritto della morte della tragedia, la raffinata penna di Joyce Carol Oates è capace di riportare in vita quel sentimento del tragico che è alla base di ogni esistenza e che si rivela, dunque, universale. 

Nei suoi romanzi, infatti, la componente tragica va oltre il mero piano stilistico, diventando vera e propria ars scribendi, uno strumento per elaborare i lutti di un’intera comunità, della quale vengono messe a nudo le violente contraddizioni. «Per me la tragedia è una forma d’arte» ha dichiarato del resto la stessa autrice. 

Un momento dell'intervento di Joyce Carol Oates (foto Taobuk)

Un momento dell'intervento di Joyce Carol Oates (foto Taobuk)

Riguardo alla prevalenza di scrittori uomini nelle classifiche americane malgrado il cospicuo numero di scrittrici di talento – argomento sul quale Oates è stata chiamata a esprimere la sua opinione – ha invece commentato.

«Probabilmente è una questione di predilezione, o di pregiudizio nei confronti delle donne, anche se non mi piace stereotipizzare il discorso in questo modo» ha raccontato.

La giornalista si è poi soffermata sulle nuove potenzialità, ma anche sui pericoli, insiti nei nuovi mezzi di comunicazione

La risposta della scrittrice americana ha messo in luce la difficoltà di fare previsioni attendibili per il futuro. «Un’autrice specializzata in narrativa è generalmente poco esperta in tecnologia, però mi viene da dire che, a livello globale, è assodato che siamo circondati da telecamere che puntano i loro occhi meccanici su di noi - ha raccontato -. Attraverso internet e gli smartphone siamo continuamente manipolati, poiché crediamo di ascoltare dei messaggi mentre parliamo al telefono, ma in realtà è il telefono che sta ascoltando noi. Il tipo di futuro che intravedo sarà molto più autoritaristico rispetto alla democrazia attuale».

In chiusura, Farah Nayeri ha sollecitato una considerazione sul potere – della letteratura e delle parole – di viaggiare oltre i limiti del tempo e delle singole esistenze, vincendo la morte.

«C’è un’espressione universale dentro la lingua e la letteratura, che è strettamente legata anche al concetto di verità - ha detto -.Si può leggere una poesia scritta secoli fa e ritrovare dei collegamenti, ritrovare la propria umanità, ritrovare la persona che l’ha composta, di cui non sapevamo nulla, ma che possiamo riconoscere in quanto poeta».