“Tra le mie arti, la musica è il più grande veicolo per raccontare i colori della vita”

Alfonso Signorini e Turandot: un rapporto di amore e odio. In scena al Teatro Massimo Bellini di Catania

Irene Isajia

Non è sempre facile avvicinarsi ad un protagonista dell’opera ancor più quando questi è, non solo il regista, ma un grande attore della scena televisiva, quel vip al quale molti cercano di strappare autografi e fotografie.

È la sera della prova generale di Turandot, in scena al Teatro Massimo Bellini di Catania. È finito da poco il Preludio all’opera, curato dalle docenti Mariarosa De Luca e Graziella Seminara, musicologhe e docenti del Dipartimento di Scienze umanistiche dell’Università di Catania. Gli spettatori sono stati condotti dentro il tempo storico dell’opera, nelle trame della composizione, a confronto con i protagonisti che vedremo sul palcoscenico. Siamo pronti, trepidanti.

È la prima volta che vedo la Turandot e l’occasione è davvero speciale: apertura della stagione lirica del Teatro Massimo Bellini e il regista è Alfonso Signorini. Da qualche giorno cerco informazioni tra gli aiuto regia per avere la possibilità di scambiare poche battute con lui, non tanto per gli spoiler quanto per poter ricevere pezzetti di vita, quella dell’uomo Alfonso Signorini.

Mi viene detto di rimanere fino alla fine dell’opera, sicuramente avrò una possibilità. Finisce il primo atto, provo ad avvicinarmi e vengo travolta da tanti curiosi, fan, giornalisti dell’ultimo minuto che cercano un’occasione di approccio con lui. Mi faccio piccola e torno al mio posto, “magari provo dopo” – mi dico. Fine del secondo atto. Guardo lontano e vedo che è da solo sul banco di regia. Sta per alzarsi e mi affretto per raggiungerlo. Mi presento e gli chiedo, con timida fermezza, di concedermi pochi minuti. Nonostante la stanchezza e le sue mille cose da fare, è il mio momento, accendo il registratore.

Siamo nell’anno pucciniano, la sua Turandot è andata in scena già nel 2017 e nel 2018 per l’apertura del festival pucciniano di Torre del Lago, espatria in Georgia e adesso qui a Catania per aprire la stagione lirica del Teatro Massimo Bellini. 

Ogni edizione porta piccole variazioni e in questa del 2024 emerge la novità più eclatante: sospesa tra sogno e mistificazione, appare in scena lo spettro di Lou Ling, antenata di Turandot citata sul libretto. La donna entra in scena silenziosa nel primo atto come anticipazione del finale che avverrà nel terzo atto, dove l’abbraccio spirituale tra le due donne scioglierà il ghiaccio dell’arroganza, della presunzione, della brama di potere e ripoterà Turandot all’umanità dei sentimenti concreti dell’amore e della passione.

Non tutti sanno che Alfonso Signorini è laureato in Lettere classiche e poi si è specializzato in Filologia medievale e umanistica. Nello stesso tempo coltiva la passione per la musica e consegue il diploma in pianoforte. Si dedica all’insegnamento prima di intraprendere la strada del giornalismo e poi quella che lo conduce nelle trame del mondo dello spettacolo tra settimanali, conduzioni, direzioni di vari programmi tv.

Una scena di Turandot

Una scena di Turandot al Teatro Massimo Bellini di Catania 

La regia arriva inaspettatamente nel 2017 quando lo coglie di sorpresa la telefonata del maestro Alberto Veronesi, direttore d’orchestra, il quale dopo aver letto il libro di Signorini sulla Callas, preso da grande commozione e ammirazione, gli propone la “follia”, dice Signorini, di esordire alla regia d’opera per il Festival Pucciniano di Torre del Lago. Signorini è un grande appassionato di opera, da sempre loggionista della Scala di Milano.

«Con quale opera vuole aprire il Festival?» – chiese al maestro Veronesi che prontamente rispose “Turandot”! Fu un momento in cui, per un attimo, tornò indietro al 1983: era il 7 dicembre. Si trovava proprio nel loggione per vedere Turandot con un cast meraviglioso: Katia Ricciarelli, Liù; Ghena Dimitrova, Turandot; Nicola Martinucci, Calaf; Lorin Maazel, direttore d’orchestra. Sono limpidi i suoi ricordi mentre me li racconta come se fosse il ricordo di ieri. Era studente universitario, allora, e a pochissimi giorni dal suo terzo esame, glottologia.

Improvvisamente, mentre in scena c’erano le maschere di Ping, Pong e Pang che cantavano «poiché il funesto gong desta la reggia e la desta la città, siamo pronti ad ogni evento…», lo coglie il suo primo attacco di panico che lo raggela, forti palpitazioni e sviene risvegliandosi in ospedale. Da quel giorno Turandot era connesso a quel terribile momento, un incubo che gli impediva di ascoltarla. La proposta folle di Veronesi, dunque, arriva quasi come l’abbraccio di Lou Ling per Turandot, che scioglie le insicurezze e rimette tutto in gioco con le proprie forze. Ed eccoci qui, all’ennesima prima per Alfonso e Turandot.

«Nonostante abbia condotto diverse altre regie d’opera, fra cui Bohème e Tosca, Turandot continua a mantenere su di me quel fascino sinistro; ci leggo molta ansia e morte nella musica; un’atmosfera molto pesante in quella Pechino in cui il popolo è devastato dalla ritualità della morte, dall’odore del sangue che cola dalle teste mozzate dei principi pretendenti; ciniche le tre maschere che giocano a palla con queste teste», racconta. 

In questo grigiore, le donne di quest’opera sono la speranza di un futuro di cambiamento e da Liù a Turandot, compresa la presenza innovativa di Lou Ling, si sottolinea quanto l’amore sincero e profondamente sacrificante restituisce permette una “resurrezione”.

Tra le sue arti - la scrittura, lo spettacolo, la regia d’opera – il fil rouge è la vita. Signorini mi spiega che sono tre modi per raccontare la vita, in tutte le emozioni che si possono vivere, nei colori che la circondano. 

«Nella scrittura c’è modo di approfondire, di scavare attraverso l’uso della parola; nella televisione si comunica attraverso lo sguardo ma anche con il contenuto di certe riflessioni e la condivisione di emozioni; il teatro, col melodramma, arriva dritto al cuore attraverso la mediazione della musica che è il veicolo delle emozioni. Si tratta sempre di raccontare i colori della vita! Aggiungerei una quarta arte, la musica, che mi permette, quando suono, di raccontare e interpretare la mia interiorità», racconta il regista.

È sempre emozionante mettersi in ascolto dell’altro. Pochi minuti e ti consegna un frammento di vita, un frammento che continua ad arricchire il meraviglioso puzzle dell’incontro, quello che ti permette di scoprire te stesso mentre provi a mettere i pezzi nel posto giusto per scoprire il meraviglioso disegno della vita.