Il Coro di Notte “Giancarlo Magnano San Lio” ha ospitato il poeta e scrittore Tommaso Giartosio, finalista al Premio Strega 2024, con “Autobiogrammatica”
Il plurilinguismo, il cui caposaldo è che le lingue plasmano chi le parla tanto quanto vengono plasmate da chi le parla, è stato il tema dell’incontro Vivere e scrivere fra le lingue che si è tenuto nei giorni scorsi al Coro di Notte “Giancarlo Magnano San Lio” del Monastero dei Benedettini.
Coordinato dalla germanista e poeta Vincenza Scuderi, ospite della conferenza lo scrittore Tommaso Giartosio che ha esplorato il potere delle parole con Autobiogrammatica, il suo ultimo romanzo che trasforma la dimensione individuale in collettiva attraverso il linguaggio.
Le parole, infatti, diventano formule magiche capaci di interpretare l’esistenza, mentre i ricordi, le memorie e gli aneddoti adolescenziali si intrecciano in una narrazione fluida e imprevedibile.
“Autobiogrammatica” è un’autobiografia atipica, costruita come un’indagine sul linguaggio, un’opera in cui la dimensione linguistica domina, evocando esplicitamente il modello di “Lessico famigliare” di Natalia Ginzburg.
Un libro che, come ha chiesto la prof.ssa Vincenza Scuderi, evoca molte volte Natalia Ginzburg e il suo libro “Lessico famigliare”.
“Ho sentito una distanza rispetto a Lessico famigliare di Natalia Ginzburg – ha spiegato Tommaso Giartosio -. Per lei questo lessico è una forma di salvezza che le permette di sollevarsi e rafforzarsi. In “Lessico famigliare” Natalia afferma che ci sono parole usate dal padre e della madre che lei e il fratello conoscono, affermando che se si ritrovasse con lui in una caverna buia in cui si parlano tante lingue, riuscirebbero a ritrovarsi pronunciando quelle parole. A parer mio invece, ognuno dovrebbe emanciparsi dal proprio lessico famigliare, trovando proprie forme nuove e avere il controllo sulla propria eredità linguistica”.
L’autore nasce in una famiglia in cui si parla francese e inglese e cresce in uno spazio in cui parlare le lingue era un valore. Un tema, questo, su cui la coordinatrice si è soffermata chiedendo a Giartosio se “ci sono differenze di linguaggio visto che i genitori provengono da due mondi diversi, una sorta di dimensione bilingue”.

In foto da sinistra la coordinatrice Vincenza Scuderi e Tommaso Giartosio
Lo scrittore, sul punto, ha evidenziato che è “cresciuto con l’inglese, ma non è un native speaker”. “Il francese, dato che proveniva da una famiglia piemontese, era presente nella sua vita e tutte le famiglie hanno un lessico famigliare ampio, semplicemente c’è chi pone più attenzione a riguardo”, ha spiegato.
La prof.ssa Scuderi, riprendendo la frase del libro “Tutti hanno già scritto questo libro, ma tutti ne scriveremo uno diverso”, ha chiesto di spiegare com’è il gioco di mostrarsi invitando i lettori e lettrici a prendersi il caffè con Giartosio.
“L’autobiografia esiste in due forme – affermalo scrittore -. Persone famose che navigano nella forza della fama ed hanno qualcosa da raccontare di coinvolgente e le autobiografie di persone comuni, le quali dimostrano di essere bravi scrittori rendendo il comune qualcosa di interessante”.
E sul termine Stigmergico che rappresenta qualsiasi processo in cui l’abitudine produce l’essenza, un’abitudine casuale che ha reso uno spazio pieno di significato, Giartosio precisa che “il lessico famigliare era abbastanza comune nelle famiglie e rappresentava non solo un’identità famigliare, ma soprattutto un’educazione all’economia linguistica come la gestione dei beni all’interno di un nucleo famigliare”. “Ci si costruiva attorno una retorica all’interno di esso, ma in realtà non esisteva qualcosa di profondo”, ha aggiunto
Un’attenzione particolare viene posta anche al tema delle parole. “Seppur apparentemente banali, le parole, nel loro ripresentarsi, significano qualcosa - sottolinea lo scrittore -. Esiste una sorta di psicoanalisi non dichiarata Nella mia famiglia un campo nel quale erano presenti decine di parole era quello del disastro. Disastro, catastrofe, ma anche sinonimi più bizzarri. Riflettendoci, i miei genitori avevano vissuto un disastro: mio padre aveva perso compagni di scuola in guerra, mia madre ha visto case distrutte dalle bombe a Torino”.

Un momento dell'incontro
Soffermandosi sul capitolo adolescenza, Giartosio ha letto un passo contenuto in “Mondi Fantastici”. “Mi è rimasta dentro l’emozione che provavo in quegli anni quando sentivo di essere, è assurdo, lo so, entrato in uno spazio senza confini – ha detto -. Un luogo protetto dove avrei potuto viaggiare sempre più in su. Questa sensazione la ritrovavo nei libri stessi, ero Peter Pan nei giardini di Kensington. Ma in quei libri trovavo anche il contrario, uno spazio tranquillo come la foresta di Winnie The Pooh”.
“La sensazione era doppia, di vertigine e di immobilità – ha aggiunto -. Era sfiancante ed entusiasmante. Leggevo e rileggevo, scivolando di libro in libro, di stanza in stanza, di paese in paese, in un atlante a castello, affascinato, felice, ma prigioniero di un loop regressivo. I volumi stessi avevano quelle dorsali telate di quella carta spugnosa che vietavano il trascorrere sull’onda delle pagine anni di dolce naufragio”.
“Gli anni dell’infanzia e dell’adolescenza non sono stati per me pieni di rapporti - ha precisato -. Arriveranno successivamente. Fin qui c’è una figura femminile importante, ovvero quella della madre, e poi quella di mio cugino, una figura assertiva, arrogante, ma malata, costretta a respirare l’aria del mare”.
“Linguaggio e libri sono al centro di persone che hanno deciso di usare questo libro – ha affermato Giartosio -. Se noi dovessimo raccontare in modo esauriente una giornata dell’infanzia, potremmo andare avanti per migliaia di pagine. Ma non sarebbero esaustive per descrivere a pieno quei momenti. Ma è necessario. Scrivere è selezionare”.
E in merito al linguaggio, sull’esistenza di suoni e segni arbitrari diversi per descrivere lo stesso concetto, lo scrittore ha precisato che “riflettere sul linguaggio significa riflettere sulla possibilità di capirsi a partire da lingue differenti e sulla possibilità di creare lingue che siano sempre più traducibili e che siano in grado di parlare più persone”.
“È una scommessa della letteratura perché i grandi classici vengono letti da persone che hanno mondi completamente diversi dal nostro, ma che colgono qualcosa che arricchisce il loro mondo – ha aggiunto -. È bello avere questo confronto, ogni linguaggio descrive un mondo in modo imperfetto perché lo descrive da una prospettiva singola. La questione è come trovare terreni comuni tra linguaggi differenti. Ed è questo il ruolo della letteratura, e non letterature, per avere un dialogo”.