Yuri Furnari, da trombettista a compositore

“La curiosità è la strada per scoprire e scoprirsi”, racconta uno dei compositori dell’ultimo concerto di Intersezioni 2024 

Irene Isajia

Il Festival di Musica contemporanea Intersezioni ha chiuso l’edizione 2024 con un concerto al Teatro Sangiorgi incentrato su prime esecuzioni assolute. Un panel di composizioni - Joe Schittino, Yuri Furnari, Letizia Spampinato e Giovanni Ferrauto - ciascuna delle quali pone al centro uno strumento solista accompagnato da un’orchestra d’archi.

In questa intervista Yuri Furnari, tra i compositori nel programma del KonzertStucke con l’Orchestra della Camerata Polifonica del 26 aprile scorso, racconta il proprio percorso che da esecutore lo ha condotto allo studio della composizione.

Il noto trombettista sin da adolescente è stato attratto dalla scrittura musicale che è l’espressione di come suoni si intersecano tra loro e traducono significati.

Yuri Furnari

Yuri Furnari nelle vesti di direttore d'orchestra

Ecco le risposte di Yuri Furnari alle domande poste da Irene Isajia per UnictMagazine

Da esecutore a compositore: da dove nasce questa tua curiosità nei confronti della scrittura?

Sono stato sempre curioso. Mi sono sempre chiesto cosa facessero gli altri, che ruolo avessero in un contesto musicale d’insieme. Non ero lì a preoccuparmi solo della mia parte e, quando suonavo con altri, chiedevo sempre “ma tu che nota stai facendo?” con l’intento di conoscere, comprendere – senza avere, poi, neppure una partitura davanti. Quando da ragazzi ci capitava di suonare tra amici brani, anche popolari per esempio, mi occupavo io delle parti senza aver studiato composizione.

Sicuramente lo studio del pianoforte mi avrebbe potuto agevolare, giacchè si hanno tutte le voci nelle mani, ma da trombettista non è stato semplice; non era l’epoca dei software musicali a portata di mano e mi ingegnavo scrivendo, strappando fogli, sperimentando. Tutto ebbe inizio con il parroco della mia parrocchia a Santa Maria di Licodia, padre Salvo Palella, organista. Andavamo a studiare solfeggio da lui, entrati da poco al conservatorio. Ci ritrovammo ad essere due trombe (io e Matteo Frisenna), un trombone (Rosario Rizzo) e un corno (Dafni Pinzone), strumenti che compongono il quartetto di ottoni…e fu una casualità, nulla di preorganizzato.

Ci disse che ci avrebbe coinvolti nella messa e disse a me – forse per la mia nota curiosità, forse perché ero il più grande fra tutti – di occuparmi degli arrangiamenti. “E come faccio?!” – gli chiesi. P. Palella con grande pace mi disse che mi avrebbe dato la parte dell’organo da cui partire, qualcosa c’era, qualcosa aggiunsi ad orecchio. Avevo circa diciassette anni e il mio primo arrangiamento fu per una messa, per tutti i brani liturgici di una messa. L’organo, a quel punto non c’era più ed eravamo noi i protagonisti, il quartetto di ottoni, ad accompagnare l’assemblea.

Questa esperienza fece da apripista per il mondo dell’arrangiamento, perché è da qui che sono partito. Si parte dal copiato, come spesso capita anche nel disegno, dalla trascrizione da una formazione definita (nel caso dei brani liturgici dall’organo) a quartetto. Il quartetto, dunque, è stato la mia prima formazione. Scrissi diversi arrangiamenti per quartetto di ottoni. Io suonavo già nella banda e, dopo qualche tempo, presi coraggio e iniziai ad arrangiare per banda. Con la banda ho avuto la possibilità di sperimentare direttamente il suono, cioè potevo verificare se ciò che scrivevo funzionava.

Yuri Furnari insieme con il maestro Giovanni Ferrauto

Yuri Furnari insieme con il maestro Giovanni Ferrauto

Come arrivi allo studio della composizione?

Ho visto sempre la composizione come una meta prossima ma che necessitava di passaggi necessari prima. È stato necessario studiare e approfondire lo studio dell’armonia, comprendere la musica in forma analitica prima di poterla scrivere. Sono stato sempre attratto dalla direzione d’orchestra e presi a studiare direzione con maestri di banda, con master annuali, occasionali; tutti partivano dall’analisi del brano perché dall’osservazione di ciò che è stato scritto da altri si imparano tante cose.

Per ben dirigere, per interpretare un brano, bisogna comprenderlo, così iniziai a studiare privatamente con il maestro Giovanni Ferrauto. Benché lo studio fosse affascinante, studiare da privatista non era spronante, non avevo scadenze, esami da preparare, un obiettivo a breve scadenza che mi stimolasse a studiare con costanza e il fatto di essere già adulto mi metteva davanti diversi impegni e responsabilità (lavoro, famiglia). Lasciai le lezioni con Ferrauto e continuai comunque ad occuparmi – come già facevo – di direzione. Trascorsero altri sette anni prima di decidere di impegnarmi seriamente nello studio iscrivendomi al conservatorio, alla classe di composizione sempre con il maestro Ferrauto.

È stato un sorprendente percorso, molto stimolante. Il maestro Ferrauto non è stato solo un insegnante ma anche un “manager”, potrei dire. Ci ha sempre spronato a scrivere con un obiettivo, per un progetto, per un concerto. In questo senso direzione e composizione camminano a braccetto e la cosa entusiasmante è stata di poterle approcciare con occhi nuovi.

“Intersezioni” è un festival di musica contemporanea. Tu sei partito dalla musica sacra, passando attraverso la musica per banda, con il corso di composizione certamente hai approcciato più mondi musicali. Con la musica contemporanea di cui il festival si occupa, come l’hai vissuta?

Il Festival vuole farci guardare alla musica non nei termini “concettuali” a cui spesso si associa la musica contemporanea, piuttosto alle tecniche di scrittura, al pensiero di oggi svincolato da un ambito ben preciso. Ci è stato insegnato che le tecniche vanno studiate tutte per poter scegliere quella giusta per noi, secondo la composizione che vogliamo mettere in atto.

Se pensiamo al contrappunto che studiamo nella musica rinascimentale, lo applichiamo anche nella musica contemporanea a volte; oppure, scrivere una fuga, non per forza deve essere scritta in stile barocco ma si può usare lo schema della fuga e applicarlo a tecniche nuove, a nuove sonorità. Il maestro Ferrauto è tra gli insegnanti che stimola nello studio della scrittura antica e, non a caso, poi scrive bene anche nel contemporaneo. Non possiamo parlare dell’oggi senza rivolgerci al passato, sarebbe senza radici altrimenti. Si tratta dunque di una realtà viva che si riattualizza e che continua a parlare attraverso l’oggi.

Yuri Furnari

Yuri Furnari

Nell’ultimo concerto del Festival, c’è anche una tua composizione. Come avete strutturato il concerto?

Si tratta di composizioni fra loro diverse. Come già detto, il maestro Ferrauto ci ha sempre spronato a comporre per obiettivi definiti e in questo caso, il progetto prevedeva di creare repertorio per strumenti solisti. Per alleggerire l’ascolto, è stato pensato a pezzi che si alternassero con momenti d’insieme. Ciascuno ha scelto uno strumento a cui dedicare la propria composizione. Io sono trombettista ma ho volutamente scelto di impegnarmi su una composizione per trombone.

Essendo in fase di studio, per non allontanarmi troppo dal mondo degli ottoni e per bilanciare la proposta rispetto alle altre composizioni (per archi e legni), ho scelto il trombone che è tra gli strumenti di cui apprezzo gli effetti. L’ho scritto per un amico, che è primo trombone del Teatro Massimo Bellini di Catania, Vincenzo Paratore. Scrivere per un solista particolare non è semplice; è importante la stima reciproca, la conoscenza delle abilità dell’esecutore perché la composizione possa essere “cucita su misura”.

Prima di iniziare a scrivere mi sono confrontato anche con altri amici e colleghi trombonisti (fra questi Antonino Carbonaro) che mi hanno dato delle indicazioni sul come far spiccare meglio le parti solistiche e rendere armonioso il dialogo musicale con l’ensemble. Il brano è un pezzo unico che si divide in tre parti: allegro, adagio, allegro.

Nella composizione c’è sempre un’idea ma che tipo di idea c’è nella tua composizione? Narrativa o esclusivamente musicale?

Si tratta di una composizione esclusivamente musicale. Ho scelto di scrivere in stile barocco, la musica antica che ritorna in forma contemporanea. Il brano si chiama “Baroqueness”. La scelta verte sul recupero di questo stile proprio perché il trombone non lo ha in repertorio essendo uno strumento nato dopo. Così ho voluto scrivere qualcosa che valorizzasse il trombone in quelle sonorità tipicamente barocche; ci saranno timbriche particolari, accordi tipici della musica contemporanea e dei primi del Novecento.

Che progetti ci sono nel cassetto?

Noi scriviamo anche musica per le immagini e in questo caso la musica ha un’idea narrativa. Mi stato commissionato un brano che sarà eseguito a Dublino in prima assoluta dal Calamus, gruppo di clarinetti guidati dal M. Dell’Acqua, nel contesto del Clarinet Fest 2024 che si tiene ogni quattro anni. Il committente è stato il M. Dell’Acqua e ho scelto di chiamare il pezzo “Le forme dell’acqua”. Si tratta di un percorso musicale che dai ghiacciai alle profondità marine fino alla leggerezza delle particelle gassose tiene conto dei tre stati dell’acqua.

Nell’esperienza artistica io cerco di forzarmi a cambiare, sperimentando il più possibile, cercando di non adagiarmi nello scrivere ciò che mi piace o ciò che mi è più congeniale ma lavorare con linguaggi diversi che mi consentono di confrontarmi e di crescere, di conoscere per accrescere il mio bagaglio esperienziale e poterlo utilizzare laddove può essere necessario.

Una volta, il maestro Ferrauto guardandoci disse, a ciascun allievo del corso, quale fosse lo stile a cui si rifaceva maggiormente “tu sei più straviskiano; tu più vicino allo stile di Prokoviev…Yuri non riesco a riesco ad inquadrarlo”. Io sono contento di questo, significa che sto ancora ricercando il mio stile. È certo che nel campo della composizione, ciò di cui c’è bisogno è che i brani vengano eseguiti perché ne si comprenda sia il risultato e anche il valore musicale e artistico.

Yuri Furnari

Yuri Furnari

Nel passato hai messo in campo un esperimento: la Banda del Mediterraneo. Potremmo definirlo una meteora. Cos’è stata per te questa formazione e quali prospettive prevedi?

La Banda del Mediterraneo è qualcosa di prezioso per me e, in quanto tale, sto pensando di esibirlo al momento giusto. È stata una delle esperienze più belle della mia vita. La gioia di quel concerto penso di non averla mai provata prima, musicalmente parlando. Era il 2018. Un giorno creai un gruppo whatsapp che chiamato “I have a dream”.

Avevo selezionato circa 10 amici, ciascuno dei quali era referente per una sezione dell’orchestra di fiati. Ho condiviso con questo piccolo gruppo il mio desiderio che era di creare una realtà che potesse dare valore all’ambito bandistico che, nel nostro contesto, viene sottovalutato, considerato un surrogato dell’orchestra, la serie B, a volte anche in senso negativo “sembrate una banda”.

Avevo avuto la possibilità di partecipare ad un concorso mondiale per direzione. Avrei dovuto dirigere una formazione cameristica, una banda semiprofessionale (rif. Bande ministeriali) e una orchestra sinfonica. In questo contesto ho potuto confrontarmi con questi gruppi di fiati, ho potuto vedere la macchina organizzativa che si muove attorno a queste realtà e il livello molto lontano da nostro.

Così ho preso consapevolezza che avremmo potuto farlo anche noi, perché la professionalità non ci manca, ma ci serviva organizzazione. Nel progetto, dunque, coinvolsi tanti musicisti ma esclusi volutamente il settore giovanile; può sembrare un paradosso ma per creare una realtà stabile nel territorio è necessario che i musicisti siano presenti; i giovani, invece, studiano, fanno esperienze, partono, si stabiliscono lontano dalla nostra terra. Chiamai i musicisti uno ad uno e, a ciascuno, spiegai il progetto.

Non avevo fondi, nessuno sponsor, nessun finanziamento… Un sogno, quello di mettere insieme alta professionalità e produrre musica di alta qualità. Su cento chiamate, ottanta sì. Il concerto si svolse all’Anfiteatro di Zafferana. Fu un grande successo. Non ci credeva neppure l’amministrazione, forse. Io ricordo ancora l’anfiteatro stracolmo di persone e fu alto il consenso. Indubbiamente il progetto è ambizioso, prevede grandi numeri, spazi per le prove e tempo da dedicare.

Recentemente ho ricontattato gli amici musicisti che ne hanno fatto già parte per provare a capire se possiamo riprovarci. C’è stata disponibilità a ripartire ma è importante avere un evento per cui investire queste energie. Io mi sento più forte oggi, con più competenze. Dalla prima apparizione della Banda del Mediterraneo non ci sono state realtà simili attorno e questo fa ancora di più sperare che perseguire questa strada significa dare valore a qualcosa di nuovo.

Ho già realizzato un dossier che racconta il progetto, un settore bandistico non amatoriale ma professionale. Il covid ci fermato quando il 5 marzo del 2020 avremmo dovuto provare nell’auditorium di Cappellani ad Acireale. Oggi manca anche questo apporto, scarseggiano gli spazi attrezzati per grandi formazioni. Auspico che ci possano essere realtà che possano supportarci e mettere in luce la professionalità musicale catanese all’interno di una realtà bandistica di alto spessore artistico.