Zio Paperone e la ‘camurria’ dei Bassotti

La storia a fumetti è contenuta nel numero 3608 del settimanale “Topolino” in edicola dal 15 gennaio, eccezionalmente proposta in quattro dialetti: napoletano, fiorentino, milanese e… catanese

Mariano Campo

«Chi gran camurria ch’addivintanu sti Bassotti». Questa volta non è il solito commissario Montalbano a sbottare contro gli incalliti banditi di Vigata, bensì lo stesso Zio Paperone, impegnato a difendere il proprio deposito dall’ennesimo assalto della famigerata “Banda” mascherata di Paperopoli che da sempre ambisce a ripulirlo delle sue ricchezze, con l’aiuto di un antifurto messo a punto dall’ingegnoso Archimede Pitagorico, basato sull’intelligenza artificiale.

La storia a fumetti, intitolata Zio Paperone e il PDP 6000, è contenuta nel numero 3608 del settimanale Topolino in edicola dal 15 gennaio, eccezionalmente proposta in quattro dialetti: napoletano, fiorentino, milanese e… catanese.

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Una pagina di Zio Paperone e il PDP 6000

È il modo che la celebre rivista ha scelto per celebrare la Giornata nazionale del dialetto e delle lingue locali, coinvolgendo insigni docenti universitari incaricati della traduzione, «valorizzando la ricchezza linguistica italiana - come spiega il direttore della “Panini” Alex Bertani -, e sfruttando l’immenso patrimonio culturale e storico rappresentato dalle centinaia di idiomi che attraversano la nostra penisola da nord a sud e da levante a ponente».

E la trasposizione della storia sceneggiata da Niccolò Testi e disegnata da Alessandro Perina nella lingua di Martoglio è stata curata dal prof. Salvatore Menza, ricercatore di Glottologia e Linguistica al dipartimento di Scienze umanistiche dell’Università di Catania.

Una pagina di Zio Paperone e il PDP 6000

Una pagina di Zio Paperone e il PDP 6000

«Non è stato un lavoro semplice, ma divertente – ha dichiarato al tg regionale il prof. Menza -. Bisogna modificare molte cose, cambiare molte parole, anche perché sono presenti dei termini tecnologici, cercando però di mantenere il ‘succo’ della situazione, rimanendo fedeli alle emozioni dei personaggi».

«Io volevo che venisse fuori un discorso il più possibile naturale, senza forzature – ha aggiunto il docente catanese, raccontando l’esperienza al quotidiano “La Repubblica” -: non volevo un siciliano letterario, ma un dialetto divertente e senza scorciatoie, un dialetto vero e vivo. Alla fine, sono molto soddisfatto».

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