Boxe nel cinema: romanticizzazione della violenza o trasmissione di valori positivi?

Quando il pugilato entra nel grande schermo, il pubblico scopre che questo mondo non è fatto con il ferro, ma con il cuore e la forza d’animo

Giordana Sterlino

Nel precedente articolo – dal titolo La boxe non è uno sport per tutti - il pugilato è stato trattato come un fatto istituzionale, frutto di organizzazioni, sponsor e campionati mondiali.

Oggi affrontiamo un aspetto più intimo di questa disciplina: parlare di cosa la boxe abbia suscitato non negli atleti, non negli allenatori, non in “chi ci guadagna qualcosa”, ma in chi paga un biglietto per guardare molto più che un match.

Cosa ha suscitato la boxe negli spettatori delle sale cinematografiche?

E se è vera la comune opinione che il pugilato contribuisca a romanticizzare la violenza, perché un pubblico così vasto vorrebbe guardarlo sul grande schermo?

Si tratta di uno sport che nel corso del tempo ha saputo ispirare numerosi registi, che attraverso la lente cinematografica hanno dato la loro risposta a queste domande, definendo il pugilato come vera e propria metafora della vita con alti e bassi, vittorie e sconfitte, disciplina e dramma umano.

Questa serie di ambivalenze ha portato alla nascita di opere cinematografiche iconiche come Rocky (1976) di Sylvester Stallone e Raging Bull (1980) di Martin Scorsese, che hanno contribuito a dare una definizione a tratti più precisa e a tratti più personale della boxe.

Hanno offerto al pubblico storie diverse che hanno permesso la nascita di modelli eterni, quasi dei topoi cinematograficicome il pugile underdog, che lotta per emanciparsi dalla sua realtà oppure l’uomo coraggioso e fragile al contempo, che attraverso questa disciplina porta avanti valori e disvalori.

Rocky IV

Rocky IV

Questi film hanno catturato l'attenzione del pubblico, non solo per il fascino del combattimento di per sé, ma anche per la profondità dei personaggi e lo spessore delle sfide che questi affrontano dentro e fuori dal ring.

Aldilà delle pellicole più celebri, come Creed di Ryan Coogler e Michael B. Jordan o Million Dollar Baby di Clint Eastwood o The Fighter di David O. Russell, esiste un film in particolare che ha catturato la mia attenzione.

Il film si intitola Far and Away meglio conosciuto in Italia come Cuori Ribelli. È un film del 1992, diretto da Ron Howard, i cui protagonisti sono Tom Cruise e Nicole Kidman, due personalità che difficilmente si immaginano nel mondo del pugilato.

Il film non parla della storia di un atleta, né dell’organizzazione di chissà quale match. Non viene raccontato il pugilato di oggi, ma una forma di intrattenimento becera e volgare che, se non per una parentesi relativamente breve, è trattata come una tematica relativamente marginale. 

Eppure assume un ruolo fondamentale nella vita dei protagonisti: il pugilato è la luce in fondo al tunnel.

Tom Cruise interpreta Joseph Donnelly, un giovane irlandese emigrato negli Stati Uniti nel XIX secolo, che, partito da una situazione di estrema povertà, rimane in parte travolto da una serie di circostanze, che lo portano a realizzare un sogno in partenza neanche suo, il sogno americano

Con estrema tenacia, prova a costruirsi una nuova vita scoprendo di avere un talento nel pugilato, un talento che aveva esercitato in precedenza solo giocando a pugni con i suoi fratelli.

Sente che quella realtà sia davvero sua, che quelle persone ignoranti, corrotte e volgari, per quanto diverse da lui parlino comunque la sua stessa lingua.

Rimane così coinvolto in una serie di incontri di pugilato clandestini, che gli permettono di guadagnare qualche dollaro per il sostentamento suo e della sua compagna di viaggio, Shannon, interpretata da Nicole Kidman.

In queste sequenze uno sguardo superficiale vedrebbe solo violenza e corruzione, ma ad una lettura più approfondita, il regista propone ben altri valori.

Il torneo più importante del film, che vede Joseph contro il pugile italiano Carl Ciarfalio è rappresentato come un momento di tensione e di lotta per la sopravvivenza del protagonista. 

La scena mette in evidenza la tenacia e la determinazione di Joseph, utilizzando il pugilato come un mezzo attraverso cui un povero irlandese ha la possibilità di dimostrare la sua risoluzione in un ambiente difficile e ostile come l’America del tempo e realizzare così il sogno americano che piano piano diventa sempre più suo.

Il pugilato nel cinema, da Far and Away fino a Creed, non è solo una disciplina, ma un elemento narrativo vero e proprio che rende possibile la nascita di protagonisti e antagonisti, figure romantiche senza dubbio, che non lottano mai per la pura sete di sofferenza, ma sono sempre mosse da un desiderio di realizzazione forte, puro e personale.