Crimen laesae maiestatis. Uno sguardo giuridico al processo a Gesù

Massimo Miglietta, docente di Istituzioni di diritto romano, entra dentro le maglie giuridiche e storiche del processo a Gesù, evento centrale della cristianità e della storia dell’umanità

Gabriele Cristiano Crisci

Tra tutti i processi che la storia ci tramanda, quello a Gesù è sicuramente il più noto e al tempo stesso il più controverso e dibattuto. Nessun altro processo, da Socrate a Galilei fino a quello di Norimberga, è stato oggetto di continue e minuziose analisi in ambito storico, giuridico, teologico ed esegetico. Il processo a Gesù – tema cardine del terzo incontro de I lunedì del classico – risulta essere, così, un evento senza tempo e, per tutto ciò che ha determinato, una vera e propria cesura nella storia dell’umanità.

Nell’intervista che segue, grazie agli approfondimenti di Massimo Miglietta, ordinario di Istituzioni di diritto romano all’Università degli Studi di Trento, si cerca d’intravedere – tramite uno sguardo storico-giuridico – il fitto tessuto che permea e caratterizza il processo al Nazareno, di capire quale sia precisamente l’accusa che gli è stata mossa da Pilato e cosa ci sia dietro il celeberrimo gesto di quest’ultimo, cioè il lavarsi le mani, entrato nell’uso proverbiale di tutti noi.

Perché il processo a Gesù costituisce un unicum?

«Intanto al fine di costruire il simbolo stesso del ‘processo’, ossia strumento umano che dovrebbe porre le parti in contesa di fronte ad un soggetto terzo, equidistante da entrambe, dotato del potere di definire, in modo vincolante, la controversia – spiega - Eppure, il 'processo a Gesù’ ha rappresentato anche l'esatto contrario, in virtù dell'inserimento (ingiustificato, ma foriero di così gravi conseguenze storiche) del tema della culpa iudaica, che, come è stato scritto, ha "proiettato la sua ombra scura fino ai giorni nostri" (ove, per 'ombra scura' si allude all'antisemitismo moderno). Perciò gli studiosi hanno finito per restare ‘prigionieri' del tentativo di attribuzione della culpa per la morte del Nazareno: agli ebrei, ai romani, ad entrambi (Pilato, Caifa, Anna, Erode Antipa, il popolo)».

Ecce homo

Ecce homo (dipinto di Antonio Ciseri)

“Sei tu il re dei Giudei?” (Mt 27,11). Così Pilato apostrofa Gesù, dinanzi ai sommi sacerdoti e agli anziani. Formula che troviamo anche nel titulus crucis, cosa vuole dire di fatto essere “re dei Giudei”?

«Ricordiamo, intanto, che l’unico (o, meglio, l’autentico) Re dei Giudei è Dio stesso, per gli Ebrei, pertanto, laddove Gesù di Nazareth si proclama – indirettamente, nella predicazione – Re dei Giudei, lo fa allorquando manifesta la sua messianicità secondo la visione di Daniele 7,13 (Figlio dell’Uomo), equiparandosi, di fatto, alla natura di Dio – dice il docente -. Ma si proclama tale anche dinanzi al Prefetto di Giudea, Ponzio Pilato (cfr. Gv. 18,37: Sei tu re? Gesù rispose: Tu lo dici). Egli commette -secondo la legge romana- un crimen laesae maiestatis, e come tale è passibile di condanna a morte per attentato alla maestà di Tiberio».

«Il quale, stando alle parole degli scrittori antichi, aveva imposto ai suoi funzionari di perseguire ‘atrociter’ ogni tentativo di lesione della sua potestas – aggiunge -. L’imputazione di Re dei Giudei compare, infatti, anche sul titulus appeso alla croce (Gv. 19,19), poiché tale ‘cartello’ rappresentava formalmente la motivazione della sentenza di condanna. E tale motivazione fa pure riferimento all’altra ‘faccia’ del crimine imputato a Gesù, dalle autorità ebraiche, ossia quello di essere un blasfemo (il Predicatore), in quanto, appunto, fattosi uguale a Dio».

Pilato si lava le mani. Un gesto che poi è divenuto un’espressione proverbiale, ma di cui sappiamo davvero poco. Gesto conforme ad una consuetudine attestata storicamente o da ricondurre all’ambito della teologia?

«Circa la lavanda delle mani, riportata soltanto dal Vangelo di Matteo (ma non per questo immediatamente da disattendere, poiché molti fatti storici sono testimoniati da una sola fonte antica), si tratta di un’usanza presente sia presso la cultura greco-romana, sia presso quella ebraica – risponde il prof. Miglietta -. Nel primo caso, essa attesta la dichiarazione di innocenza in caso di morte violenta di un uomo; nel secondo, serve a rinviare su altri il castigo per la morte di un innocente».

«Orbene, nel caso di specie, ci troviamo di fronte sicuramente alla seconda giustificazione dell’atto, come indicano chiaramente anche le parole del popolo: Il suo sangue ricada su di noi e sui nostri figli, a cui segue, appunto, il gesto solenne del Prefetto di Giudea (Sono innocente del sangue di questo Giusto) – aggiunge -. Va inoltre osservato che diverse erano le modalità di esecuzione. Nella tradizione greco-romana si utilizzava il sangue, a differenza di quella ebraica, dove veniva impiegata l’acqua. Alla luce delle affermazioni del popolo, e delle modalità della lavanda eseguita da Pilato, possiamo dedurre che – per assurdo – è un ‘Pilato ebreo’ a lavarsi le mani, e non un romano! In virtù di questa conclusione non è possibile dunque sostenere con certezza che il fatto si sia storicamente avverato. È più probabile che abbia una valenza teologica, destinata a stimolare la conversione del popolo ebraico alla nuova Fede. Diventa, pertanto, illegittimo e persino immorale trarre il fondamento per addossare la culpa per la morte di Gesù all’intero popolo ebraico».

Un momento dell'incontro

Un momento dell'incontro

Il “Gesù storico”, il “Gesù ebreo”, il “Gesù politico”. Si tratta della stessa figura?

«L’ultima questione esula dalle competenze giuridiche, e apre uno scenario di grandissimo orizzonte. Gesù di Nazareth, quale personaggio tra i più rilevanti che hanno attraversato le vicende umane (è l’unico uomo che ha spezzato la storia in due parti, un prima e un dopo, come ha giustamente sentenziato Vittorio Messori) non è facilmente ‘imprigionabile’ entro schemi ed ‘etichette’ sociologiche o culturali – continua -. Gesù è senz’altro ‘ebreo’ – come è stato affermato anche dagli autorevoli documenti del Concilio Vaticano II e dalle dichiarazioni magisteriali – in quanto autentico ‘figlio di Israele’. Gesù è stato anche ‘politico’, nel senso più ampio del termine, come protagonista di una rivoluzione sociale e culturale senza precedenti. Gesù è infine, e senza ombra di dubbio, una figura ‘storica’, una persona concretamente vissuta in un certo luogo, in una data epoca dell’esperienza umana. Potremmo dire, un unicum, poiché è stato l’unico Uomo e Messia che ha affermato di sé stesso d’essere dotato addirittura di una natura divina. E di lì inizia il percorso della Fede».