Ghost Work, il lavoro invisibile che sostiene l’AI

La professoressa Claartje Ter Hoeven dell’Università di Utrecht ha inaugurato l’anno accademico del corso di laurea magistrale in Sociologia delle reti, dell’informazione e dell’innovazione del Dipartimento di Scienze politiche e sociali

Veronica Barbagallo, Sofia Moschetto e Isabella Raffone

Il lavoro invisibile che sostiene le piattaforme digitali e i sistemi di intelligenza artificiale è stato il tema principale del convegno Ghost Work: The Hidden Faces of AI che ha inaugurato ufficialmente l’anno accademico del corso di laurea magistrale in Sociologia delle reti, dell’informazione e dell’innovazione del Dipartimento di Scienze politiche e sociali dell’Università di Catania.

Ospite principale dell’iniziativa è stata la professoressa Claartje Ter Hoeven dell’Università di Utrecht (vai all’intervista), tra le massime esperte internazionali sul fenomeno dei ghost workers, i lavoratori che operano dietro le quinte dell’economia digitale.

Ad aprire i lavori, nell’aula magna di Palazzo Pedagaggi, sono stati la direttrice del Dipartimento di Scienze Politiche e Sociali, Francesca Longo, e il prof. Davide Arcidiacono, presidente del corso di laurea.

Nell’introdurre il tema del convegno, il prof. Davide Arcidiacono ha sottolineato come «il digitale stia trasformando profondamente comunicazione, relazioni e forme del lavoro». «Solo una minima parte dell’iceberg digitale è visibile - ha affermato -. Sotto la superficie esiste un’enorme quantità di attività svolte da lavoratori spesso sconosciuti e non riconosciuti. È in questa zona d’ombra che si colloca il ghost work».

Un momento dell'intervento del prof. Davide Arcidiacono

Un momento dell'intervento del prof. Davide Arcidiacono

A seguire, l’intervento inaugurale della docente Claartje ter Hoeven che da cinque anni coordina un progetto internazionale dedicato proprio al lavoro umano nascosto dietro l’intelligenza artificiale. La professoressa ha spiegato che «l’AI non elimina il lavoro umano: al contrario, ne dipende profondamente». «Dietro ogni algoritmo esiste una quantità enorme di micro attività come la classificazione dei dati alla validazione dei contenuti, svolte da lavoratori spesso privi di tutele e retribuzioni stabili», ha aggiunto.

Durante la presentazione Ter Hoeven ha citato una riflessione della sociologa Judy Wajcman: “Queste tecnologie non facilitano meno lavoro, ma lavori peggiori: eserciti di codificatori, data cleaner, page rater e moderatori che non compaiono mai nei libri paga delle aziende, come se gli algoritmi si addestrassero da soli”.

Nel corso del seminario è emersa la necessità di rendere visibile il lavoro nascosto, ovvero comprendere davvero come funziona l’intelligenza artificiale e quali sfide sociali, politiche e umane porta con sé.

Un momento dell'intervento della docente

Un momento dell'intervento della docente Claartje ter Hoeven

I numeri del ghost work

Secondo le stime presentate, nell’Unione Europea operano oggi 28 milioni di lavoratori digitali, destinati a diventare 43 milioni entro il 2025. Molti sono impegnati in attività di microwork: data labeling, image tagging, trascrizioni audio, moderazione di contenuti.

Le piattaforme più utilizzate per il reclutamento sono Amazon MTurk, Appen, Microworkers. La ricerca coordinata da Ter Hoeven ha coinvolto oltre cinquemila micro-lavoratori tramite survey, 136 interviste qualitative e un progetto cinematografico con 6 partecipanti. I paesi europei con la più alta concentrazione di ghost workers sono Germania, Italia e Portogallo.

Quattro i profili individuati: i Dependents che tentano di vivere esclusivamente di microwork; i Supplementers che cercano un reddito aggiuntivo rispetto al lavoro principale; gli Enthusiasts, spesso più anziani, attratti dalla tecnologia; gli Explorers che sperimentano questo lavoro per periodi limitati.

Tra le condizioni comuni i compensi bassi e variabili, una comunicazione automatizzata, l’assenza di trasparenza. I lavoratori non sanno chi commissiona il task, non hanno garanzie sui pagamenti e non possono contestare rifiuti o sospensioni. Tra le richieste più ricorrenti: paghe dignitose, istruzioni chiare, maggiore dialogo umano.

Studenti, studentesse e relatori a conclusione del convegno

Studenti, studentesse e relatori a conclusione del convegno

Parte integrante del progetto è anche il cinematic research projectGhost Workers, realizzato dalla regista Lisette Olsthoorn, di cui durante il convegno sono state mostrate alcune sequenze.

Nel documentario sei microworkers provenienti da contesti diversi condividono esperienze e motivazioni: chi soffre d’ansia e non riesce a uscire di casa, chi necessita di un reddito flessibile durante la gravidanza, chi vive il microwork come una routine quasi “addictive”. Comune a tutti è il senso di invisibilità: “Le persone non sanno nemmeno cosa facciamo.”

A mancare sono sicurezza sociale, tutele e riconoscimento. “Non si può far funzionare una società se nessuno si preoccupa”, afferma uno dei protagonisti.

Nella discussione conclusiva, moderata dal professor Arcidiacono, i docenti Francesco Mazzeo Rinaldi e Matteo Negro hanno analizzato le implicazioni sociali e future del fenomeno.

Il professore Francesco Mazzeo Rinaldi ha sollevato l’interrogativo sul destino del ghost work: scomparirà o diventerà sempre più specializzato? In merito la prof.ssa Ter Hoeven ha risposto che «il lavoro non sparirà, ma si evolverà generando nuove competenze. La criticità non è il lavoro in sé, ma la sua organizzazione».

Una lettura più critica è stata offerta dal professor Matteo Negro: «La frammentazione estrema del microwork rischia di annullare il soggetto, ridotto a puro ingranaggio di una macchina algoritmica. L’accelerazione digitale compromette competenze fondamentali come la comunicazione, la capacità critica e la curiosità».

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