Intervista alla docente Claartje Ter Hoeven dell’Università di Utrecht intervenuta sul tema dei lavoratori che operano dietro le quinte dell’economia digitale
Docente di Communication and Information Studies alla Utrecht University, Claartje Ter Hoeven è una delle maggiori esperte di Ghostwork, il lato nascosto dell'Intelligenza Artificiale. Un tema che la docente ha affrontato – con una lectio magistralis dal titolo Ghostwork, the hidden side of AI - nel corso della inaugurazione ufficiale dell’anno accademico del corso di laurea magistrale in Sociologia delle reti, dell’informazione e dell’innovazione del Dipartimento di Scienze politiche e sociali dell’Università di Catania (vai all'articolo).
A margine dell’incontro la prof.ssa Claartje Ter Hoeven si è soffermata sui ghost workers.
Chi sono i ghost workers?
«I ghost workers sono persone che annotano o etichettano dati utilizzati per addestrare algoritmi - ha spiegato la docente -. I dataset, infatti, da soli non servono a nulla: devono essere classificati, etichettati o corredati di informazioni. Questo lavoro può consistere, ad esempio, nel riconoscere oggetti in immagini o nell’indicare se un testo esprime un sentimento positivo o negativo. Queste attività vengono svolte online su piattaforme come Amazon Mechanical Turk, Appen, Microworkers o Crowdwork. Alcuni lavorano da casa, altri, invece, operano in grandi centri dati, per grandi aziende tecnologiche. Io studio in particolare chi svolge questo lavoro attraverso le piattaforme digitali».
Come i ghost worker sono legati allo sviluppo dell’intelligenza artificiale?
«I ghost workers etichettano o verificano i dati necessari per addestrare gli algoritmi, oppure controllano le risposte generate dagli stessi. Per esempio, quando si usa un modello come ChatGPT, ci sono persone che verificano la qualità delle risposte e forniscono feedback», spiega la docente.
«In altri casi devono addirittura “impersonare” l’algoritmo: quando il software non riesce a dare una risposta corretta. È accaduto anche con i sistemi di riconoscimento facciale di Uber, che richiedevano l’intervento umano quando il software non era in grado di identificare una persona», ha aggiunto.

La docente Claartje Ter Hoeven
Quali sono le loro condizioni di lavoro?
«Chi lavora tramite piattaforme svolge le proprie attività da solo, senza colleghi né manager umani con cui confrontarsi - ha sottolineato la docente -. I compiti vengono assegnati senza reale trasparenza, e spesso il lavoro può essere rifiutato senza alcuna spiegazione. Non esiste una vera tutela contrattuale: il “contratto” vale solo per la singola micro-attività svolta. Non ci sono protezioni sociali, né possibilità concrete di costruire una carriera, poiché si accumulano solo micro-task isolati. Il potere è sbilanciato a favore delle piattaforme e dei committenti, e i lavoratori non hanno quasi mai possibilità di contestare rifiuti o mancati pagamenti».
Perché e come i legislatori dovrebbero intervenire su questo tema?
«È fondamentale riconoscere questa come una forma di lavoro a tutti gli effetti, garantendo diritti e tutele. Bisogna riequilibrare il rapporto di potere tra piattaforme, committenti e lavoratori, e introdurre maggiore trasparenza riguardo ai criteri di accettazione o rifiuto del lavoro svolto», ha spiegato.
«Serve, inoltre, garantire un salario minimo dignitoso, perché oggi i ghost workers stimati, tra 150 e 450 milioni nel mondo, guadagnano quasi sempre meno di una paga sufficiente a vivere - ha precisato -. Le grandi aziende tecnologiche non riconoscono questa manodopera come parte integrante del loro processo produttivo, anche se è essenziale per il funzionamento dell’AI».
Il loro lavoro è adeguatamente riconosciuto?
«Assolutamente no - ha evidenziato categoricamente la docente -. I ghost workers non compaiono nei registri paga delle grandi aziende: sono esternalizzati, invisibili, senza benefit né riconoscimenti. Eppure contribuiscono in modo fondamentale allo sviluppo dell’intelligenza artificiale. Le big tech, di fatto, non vogliono ammettere quanto questo lavoro umano sia indispensabile».