In scena al Centro universitario teatrale, ha inaugurato l’undicesima stagione della rassegna Palco OFF. L’intervista all’attore Eugenio Di Fraia e al musicista Angelo Morrone
La compagnia lombarda dei Naufraghi Inversi propone un viaggio visivo e sensoriale nell’Inferno dantesco, scandendo con parola e corpo il cammino del Sommo Poeta nel mondo dell’aldilà e il suo incontro con personaggi storici dell’epoca. Nell’intento di veicolare l’universalità del messaggio della Divina Commedia, ovvero quello della salvezza dallo stato di smarrimento umano, la corporeità dell’attore combinata al verso, appare lo strumento di comunicazione più efficace.
Eugenio di Fraia, attore protagonista, nonché coautore della pièce ItinerDante, e Angelo Morrone, musicista e compositore, accolgono con piacere l’invito di Marta Bertuna, dottoranda al Dipartimento di Scienze umanistiche dell’Università di Catania a raccontarci le varie tappe che li hanno condotti alla creazione del progetto e lo scopo che lo ha mosso.
Eugenio Di Fraia in ItinerDante
Eugenio, a giudicare dal risultato e dal riscontro del pubblico, tentativo ben riuscito. Complimenti vivissimi.
«Ti ringrazio molto», risponde Eugenio Di Fraia.
Se hai piacere, torniamo alle origini, alla genesi del progetto. Perché la scelta di Dante, tra altri autori illustri?
«Ho iniziato, come molti, a studiare Dante a liceo. Sentivo che nei versi c’era più potenza espressiva e poetica di quella che sentivo veniva trasmessa in quelle sedi. Ho iniziato ad approfondirlo per conto mio, mi ripetevo i versi sotto la doccia, ho coltivato una passione indipendente. Poi un giorno con mio cugino, Riccardo Sozzi, ci siamo detti “proviamo a portare in scena qualcosa e abbiamo costruito un embrione dello spettacolo di questa sera», racconta l’attore.
«Lo abbiamo portato per la prima volta al festival medievale di Campiglia Marittima. Un ambiente interessante, con tutta una serie di figure teatranti, in linea con uno spirito di rievocazione storica. Questo primo esperimento è andato molto bene, era costruito su una doppia voce: parafrasi scritta da Riccardo Sozzi e la voce originale dei versi intarsiata insieme, fatta da me», ha aggiunto Di Fraia.
«Poi, con il tempo ho iniziato a plasmare e adattare su di me questa doppia voce, cercavo di inserire una comprensibilità nel verso dantesco grazie a un diverso “approccio fisico” che cercavo di attribuirgli – sottolinea -. Poi ho conosciuto Angelo presentatomi da una comune amica come un genio della composizione (e in effetti lo è!). Un incontro piuttosto rocambolesco: Gli ho detto: “vado in scena tra una settimana, non ho ancora un testo. Hai voglia di scrivere la musica?” Ci siamo guardati, riso e in una settimana abbiamo messo in piedi uno spettacolo».
Eugenio Di Fraia in ItinerDante al Centro Universitario Teatrale
Un incontro di talenti, insomma.
«Sì, direi più che altro di intenti. All’inizio nessuno dei due conosceva bene Dante, entrambi ci abbiamo lavorato parecchio, scoprendo man mano le nostre rispettive funzioni. Lui riusciva sempre a dare voce alla parte più armonica del verso. Io ero il corpo, lui la voce musicale e così abbiamo combinato entrambi gli elementi in un’unica soluzione. Chiaramente, esiste poi una terza voce, quella di Dante, in quanto i versi che vengono portati in scena sono quelli originali, con piccole variazioni, a seconda del pubblico che abbiamo di fronte», racconta Eugenio Di Fraia.
Questo è un altro elemento che ho notato. Lo spettacolo ha senza dubbio un linguaggio contemporaneo che si rintraccia proprio nella centralità del corpo e nella sua potenza espressiva. Tuttavia, questo non esclude la fedeltà al testo originale della Divina Commedia. Vuoi approfondire meglio la ragione di questa scelta artistica?
«Sì, molto volentieri – risponde l’attore -. Diciamo che, come ho detto prima, le scelte sono orientate anche e soprattutto a seconda del tipo di pubblico a cui ci rivolgiamo. Ci è capitato, con Angelo, di performare davanti ad artisti, convegnisti esperti di settore, studiosi di simbologie dantesche. In quel caso ci permettiamo, consideriamo doveroso, riportare il testo nei suoi connotati originali, esattamente così come è stato scritto».
«In altri casi, in palchi come quello del Centro universitario teatrale di stasera, il nostro intento è, invece, principalmente divulgativo: instillare nello spettatore la voglia, la curiosità di andare a rileggere la parola dantesca, cogliendone, magari, aspetti nuovi e stimolanti. In quest’ottica, cerchiamo di apportare piccolissime modifiche, nell’assoluto rispetto del testo – aggiunge il coautore dello spettacolo -. Un esempio pratico, in tal senso, la parola “manicar”, pronunciata nel 33° canto significa “mangiar”: succede che in uno spettacolo di questo tipo si opti per la parola in italiano corrente per facilitare la comprensione».
Eugenio Di Fraia in ItinerDante al Centro Universitario Teatrale
Quindi fedeltà e rispetto al testo non esclude la possibilità di venire incontro ad un’esigenza di accessibilità da parte di un pubblico eterogeneo, non esclusivamente di settore.
«Sì, assolutamente – spiega Eugenio Di Fraia -. Ci sono alcuni attori che ritengono che alcuni colossi del genere non vadano mai toccati. Personalmente, non mi sento in questo senso di violare l’altezza dei versi, apportando micro-adattamenti, il mio intento resta comunque quello di rispettarlo il più possibile».
«Se ci si pensa, Dante ha scritto la Divina Commedia in volgare – non in latino che era la lingua colta dell’epoca – proprio perché fosse destinata ad un pubblico di massa; una lingua chiaramente, che oggi sarebbe incomprensibile ai più – continua l’attore -. Anche io stesso, nonostante legga Dante da un po’, per alcuni canti del Paradiso la parafrasi mi serve, anche per cogliere simbologie complesse, non immediate. Quindi si tratta di un umile tentativo di consegnare la stessa chiave interpretativa anche al pubblico a cui ci rivolgiamo».
Possiamo quindi dire con certezza che c’è da parte vostra un desiderio e tentativo di riavvicinare in qualche modo il pubblico, specie quello giovane, alle opere della letteratura italiana, costruirne il giusto interesse e apprezzamento.
«Sì, assolutamente», risponde Eugenio Di Fraia.
Un approccio intelligente e altruistico, direi, che in qualche modo bilancia l’eccesso di autoreferenzialità che, spesso, contraddistingue il teatro di oggi. C’è la voglia di raccontare e rievocare la bellezza di un patrimonio culturale che non esclude comunque la possibilità di esprimersi con forme e chiavi proprie.
«Ti ringraziamo per considerare il nostro tentativo altruistico perché significa molto per noi – spiega Angelo Morrone -. Diciamo che l’arte, nel senso più generale, è qualcosa di più grande di noi, di cui non possiamo certo ergerci a “vati”. Quello che si può fare è cercare di trasmetterne una passione e un valore, attraverso ciò che si sa fare. Io ci provo associando la parola ad un suono e a un sentire, Eugenio con il suo canale espressivo. Se mi chiedessero di farlo in altro modo, probabilmente non riuscirei».
«Sì, condivido. Io non sarei mai capace di fare ciò che fa Angelo. Ci compensiamo, siamo un buon team», aggiunge Eugenio Di Fraia.
Angelo Morrone in un momento dello spettacolo al Cut
Sul finire, qualche valutazione critica d’insieme. Eugenio, a giudicare dal riscontro del pubblico in sala, il tuo magnetismo in scena, supportato senz’altro dal talento musicale di Angelo, sono stati la chiave del successo. Eugenio, credi che oggi una rappresentazione di questo tipo, incentrata sulla recitazione in versi, che si tratti di Dante o di qualsiasi altro autore storico o contemporaneo, possa avere stesso impatto su un pubblico di massa?
«Anche qui, posso dire che dipende molto dalla destinazione dello spettacolo. In generale, certamente, soprattutto se lo scopo è quello divulgativo, l’unione di componente interpretativa, fisica e musicale contribuisce al 100% al risultato – precisa Eugenio Di Fraia -. Tuttavia, oggi esistono tante forme di comunicazione diverse (podcast, audio-libri, audio-esperienze dantesche) con finalità perlopiù “immersiva”. Ultimamente anche noi ci stiamo sperimentando nella costruzione di questo tipo di percorsi, avendo ormai assunto una certa dimestichezza in alcuni canti dell’Inferno in una proposizione audio; in questi casi, la componente fisica non appare indispensabile, perché compensata da altro. Ci è capitato, anche nella formula di stasera, di dover “ridimensionare”, per esigenze di spazio e/o tempo, e abbiamo avuto conferma che il messaggio arriva lo stesso. Si è sempre aperti e ben felici di reinventarsi e cogliere nuove occasioni di crescita artistica».
Quindi possiamo dire che la “completezza” della performance valorizza, ma non è elemento imprescindibile.
«Sì, esatto», risponde Eugenio Di Fraia.
E Marta Bertuna, prima di porre l’ultima domanda, si sofferma su alcuni aspetti.
A proposito dei componenti visivi dello spettacolo e delle scelte stilistiche, un’ultima questione: in IntinerDante opti per una scenografia essenziale, direi neutra. La Divina Commedia è stata, ed è tutt’ora, forse l’opera più riprodotta in assoluto (è non solo in teatro) per prestigio e carica suggestiva. Tra l’altro, anche alle Gole dell’Alcantara, in cui la bellezza dell’impianto scenografico naturale è già di per sé garanzia di successo, è stata più volte rappresentata. Nel tuo spettacolo, fatta eccezione per alcuni brevi momenti si dialoga con qualche oggetto di scena, lo spazio è interamente occupato dalla tua figura; si può dire che ne sei l’unico protagonista, non solo in senso fisico effettivo, ma in termini di azione scenica.
Eugenio Di Fraia in ItinerDante al Centro Universitario Teatrale
In generale, quanto valore assume per te la scenografia, più o meno in linea o sganciata dall’interpretazione attoriale? La scelta dell’essenzialità è compartimentata allo spettacolo o è un tuo orientamento stilistico-artistico?
«In questo specifico caso, questo spettacolo è stato riprodotto in mille modi, con partecipazione di ballerine, pole dancers, un’orchestra, altri attori con ruoli differenti (narratore, parafrasi, voce originale). Tuttavia, con onestà risponderei che, in generale, sono abbastanza per l’essenzialità e su questo palco ci è sembrata la scelta più appropriata. Credo che la scenografia possa essere un buon alleato di opera e recitazione, ma non possa divenire un sostituto in termini di radicamento, tema, per colmarne eventuali mancanze. Se così avviene, c’è un problema evidente, è come se fosse un po’ una scelta vana e bisogna porci rimedio», spiega Eugenio Di Fraia.
Bene, ragazzi, prima di lasciarci, un’ultima domanda a cui in parte mi avete già risposto, parlando di scopo divulgativo. Che tipo di desideri avete, come artisti, in termini di risposta da parte del pubblico a ciò che va a vedere a teatro?
«Mi piacerebbe che il nostro spenderci in scena trasmettesse, come ci siamo detti prima, un valore, un’unicità, e che quello stesso valore artistico possa essere interiorizzato e fatto proprio», rispondono all’unisono Eugenio Di Fraia e Angelo Morrone.
Direi che è un obiettivo comune, ce lo auguriamo tutti! Grazie ragazzi per il vostro tempo e buona fortuna per i vostri progetti futuri.
«Senz’altro! Grazie a te», dicono i due ringraziando il pubblico presente in sala.