A dirlo è Giancarlo Monina, presidente della Assemblea Nazionale dei Delegati dei Rettori per i Poli Universitari Penitenziari, che ha offerto una panoramica dei poli universitari penitenziari
“I Poli universitari penitenziari sono una realtà molto consolidata. Basta considerare che siamo partiti nel 2018, all'atto della fondazione della Conferenza nazionale universitaria dei poli penitenziari, in 22 università che si sono associate per garantire il diritto allo studio alle persone private della libertà personale e in circa sette anni si è arrivati a 47”.
A dirlo, con un pizzico di orgoglio, è Giancarlo Monina, presidente della Assemblea Nazionale dei Delegati dei Rettori per i Poli Universitari Penitenziari, che è intervenuto all’Università di Catania in occasione della presentazione del Rapporto 2025 della Cnupp.
“Anche se non tutti gli atenei sono già attivi, occorre evidenziare il dato della crescita, è un segnale di vitalità importante – ha spiegato -. Anche sul piano dei numeri della crescita degli iscritti e delle iscritte, ci piace anche ricordare che ci sono delle detenute iscritte. Seppur il numero delle iscritte, appena 68, è inferiore agli iscritti, ben 1.769, rapportando il tutto alla popolazione detenuta, possiamo affermare che in proporzione siamo sempre intorno al 3 per cento sia nel caso degli uomini, sia delle donne”.
“Come potete pensare, il 3% non è un numero enorme, ma è un numero molto significativo perché stiamo parlando di una popolazione, di un settore poco scolarizzato e quindi anche riuscire a raggiungere quel numero è molto significativo”.
Un momento della presentazione del Rapporto 2025 della Cnupp
Gli studenti iscritti su scala nazionale
“Su scala nazionale è tutto abbastanza proporzionale alla popolazione detenuta, anche perché al Sud non è che ci sia un numero così maggiore di detenuti e di detenute, sappiamo che il numero maggiore è in Lazio e in Lombardia e in effetti, in queste due regioni, si registra un numero maggiore di iscritti e di iscritte ai poli universitari penitenziari. Poi chiaramente c'è la Campania e la Sicilia che hanno un numero molto significativo”, ha spiegato Monina.
“La Sicilia, ovviamente, ha una rete di poli universitari penitenziari destinata sicuramente a crescere perché è relativamente nuova in questa esperienza, ma è una regione che si è subito molto ben organizzata”, ha aggiunto.
Cosa offriamo agli studenti-detenuti e cosa si aspettano
“Dobbiamo valutare in maniera un po' diversa rispetto al consueto mondo universitario, quello penitenziario è un poì diverso perché occorre tenere in conto due dati che variano il nostro immaginario: uno è rappresentato dall'età media dei nostri studenti detenuti che è intorno ai 45 anni, quindi non stiamo parlando di giovanissimi che si stano formando regolarmente, ma in questo caso sono figure, persone adulte che riprendono magari gli studi dopo tanti anni o che hanno fatto il percorso di scolarizzazione all'interno del carcere”, ci tiene a sottolineare Giancarlo Monina.
“L'altro dato è relativo al fatto che molti degli studenti-detenuti hanno lunghe pene da scontare e quindi la prospettiva professionale-lavorativa relativa ad un reinserimento nella società va affrontato quasi individualmente. Indubbiamente la durata della pena e l’età a volte avanzata del detenuto hanno un peso – ha aggiunto -. Poi ci sono, invece, i casi in cui le aspettative di mettere a frutto la laurea sono maggiori. Altro discorso da fare è il dare un valore anche sociale all’attività universitaria, che non è solo l'acquisizione del titolo perché in alcuni casi occorre svolgere percorsi di avvicinamento al titolo crescendo, cambiando personalità all'interno del carcere. In alcuni casi si consegue la laurea senza grosse finalità professionali, ma solo per finalità di reinserimento sociale”.
“Il titolo di laurea è sempre un valore aggiunto, lo è addirittura anche per quelli che all'interno delle carceri circondano gli studenti detenuti, cioè la presenza dell'università in carcere è un volano importante, è un presidio di cultura, di diritti, di democrazia”, ci tiene a sottolineare il presidente della Cnupp.
Il prof. Giancarlo Monina
Detenuti-laureati: reinserimento sociale e abbattimento della recidiva
“Non abbiamo molti dati sui detenuti-laureati che fuori dal carcere hanno avuto modo di far valere il titolo conseguito per il semplice motivo i poli universitari penitenziari sono un'esperienza relativamente giovane e, quindi, occorre affinare alcuni processi, tra questi anche quello dell'inserimento nel job placement dei propri studenti, studenti detenuti, ex detenuti. Quindi non abbiamo un dato completo, bisognerà rinnovare la ricerca su questo”, ha spiegato Giancarlo Monina.
Ma un dato però è certo: il laureato-detenuto non commette più reati. “Proprio così, si abbatte la recidiva – sottolinea -. Addirittura si parla di un passaggio dal 65%, che è la media nazionale dei soggetti recidivi senza titolo di laurea, all'1,7% di chi ha conseguito il titolo. Anche in questo caso il dato va approfondito, ma in prima battuta sono questi i dati che ci vengono restituiti”.
Un sistema che coinvolge tutta la comunità accademica
“I poli universitari penitenziari richiedono, lato universitario, la presenza, non solo dei docenti, ma anche dei tutor junior e senior, ovvero anche studenti che si spendono in un qualcosa che obiettivamente non è facile. E più che rivolgere un messaggio a loro, sono proprio i docenti e soprattutto gli studenti che partecipano al sistema a dare un messaggio forte a noi. È una esperienza formativa importante per tutti, non solo all'interno del carcere, ma è formativa anche fuori dal carcere. Lo è per tutti quelli che in un modo o in un altro hanno toccato con mano questa esperienza, un'esperienza umanamente fondamentale, ma anche culturalmente, diciamo come apertura e orizzonte dell'idea di cittadinanza, dell'idea di democrazia, di partecipazione, di costruzione delle relazioni”, ha spiegato Giancarlo Monina.
“Io uso questo slogan un po' abusato forse, ovvero che l'università fa bene al carcere, ma è anche il carcere che fa bene all'università e fa molto bene anche ai docenti e alle docenti, che spesso vivono in una sorta di bolla e una esperienza del genere permette loro anche di vivere una dimensione più vera per certi versi”, ha aggiunto.
Un momento della presentazione del Rapporto 2025 della Cnupp
Una rete in continua crescita
“Sicuramente sì, e sicuramente occorre migliorare l'efficienza di questa rete, la capacità di essere presente all'interno del carcere, perché il carcere è un luogo dove molta della dignità umana viene persa. Conosciamo tutti la situazione che purtroppo si esemplifica anche in quel drammatico dato dei suicidi, nel sovraffollamento e sappiamo che l'università può giocare invece un ruolo importante, anche come presidio di democrazia e di diritti, questo bisogna dirlo. Noi dobbiamo sfondare la porta chiusa del carcere. Il carcere diventa può diventare una risorsa per la società”, ha detto Giancarlo Monina.
“Sembra un paradosso, perché noi li rinchiudiamo, perché hanno compiuto effettivamente dei reati, ci sono anche dei dati di pericolosità, di sicurezza, però è soltanto sfondando questa porta chiusa, questa barriera, che si riuscirà a reintegrare e a costruire una società più giusta, più serena, più sicura e in questo l'università deve fare la sua parte e quindi ci rivolgiamo sempre a chi gestisce la governance penitenziaria perché capisca fino in fondo questo e ci aiuti fino in fondo, consentendo l’ingresso nelle carceri”, ha aggiunto.