Territori in transizione

Al Palazzo centrale studiosi e esperti si sono confrontati sulle geografie delle aree marginali tra permanenze e cambiamenti in occasione della presentazione del XVI Rapporto della Società Geografica Italiana

Alfio Russo

La relazione tra perifericità e marginalità, analizzata in relazione a diversi contesti territoriali, scale geografiche e alcuni diversi settori produttivi come l’agricoltura, l’industria, il commercio e il turismo.

Sono i contenuti principali del XVI Rapporto della Società Geografia Italiana Territori in transizione. Geografie delle aree marginali tra permanenze e cambiamenti – curato da Stefania Cerutti (Università del Piemonte Orientale), Stefano de Falco (Università Federico II di Napoli) e Teresa Graziano (Università di Catania) – che è stato presentato nell’aula magna del Palazzo centrale dell’ateneo catanese.

«Il rapporto raccoglie i contributi di più di 80 autori, per la maggioranza geografi di diverse università italiane insieme con operatori, professionisti e anche esperti di altre discipline che hanno esplorato la questione dei territori marginali italiani indagandone diverse dimensioni», ha spiegato Teresa Graziano, curatrice del Rapporto (vai all’articolo di approfondimento) e organizzatrice dell’evento insieme con Luca Ruggiero.

«In particolar modo sono stati analizzati diversi ambiti come il ruolo delle politiche e delle istituzioni nelle politiche di coesione; i trend demografici tra spopolamento e nuove forme dell’abitare; le specificità delle condizioni di marginalità di isole e montagne; il rischio idrogeologico e la fragilità ambientale; le nuove geografie del lavoro da remoto e i processi di digitalizzazione e innovazione tecnologica; le potenzialità e gli aspetti critici dei comparti economici rispetto alla marginalità territoriale, dall’industria al turismo, dal commercio alla gestione e valorizzazione dei beni culturali», ha aggiunto la curatrice.

Dopo l'introduzione dei docenti di geografia-economico politica dell'Università di Catania, Luca Ruggiero e Teresa Graziano, rispettivamente consigliere e fiduciaria regionale della Società Geografica Italiana, il volume è stato commentato dai docenti dell’Università di Catania Maurizio Avola (Sociologia dei processi economici e del lavoro), Fausto Carmelo Nigrelli (Tecnica e pianificazione urbanistica) e Francesco Martinico (Urbanistica).

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«Trasformazione del lavoro, digitalizzazione, smart working e l’impatto che può avere in termini di rivitalizzazione delle aree marginali e, inoltre, il turismo quale leva di sviluppo del territorio, sono temi fondamentali che vanno affrontati oggi per migliorare il Paese», ha detto in apertura del suo intervento il prof. Maurizio Avola del Dipartimento di Scienze politiche e sociali.

«Tra Nord e Sud e anche all’interno delle singole ripartizioni territoriali emergono delle forti disparità tra centri urbani e aree marginali, più periferiche rispetto ai centri che erogano servizi – ha aggiunto -. Questo è evidente sotto tutti i punti di vista, così come emergono difficoltà nel progettare percorsi di fuoriuscita dalla marginalità sfruttando le risorse culturali, naturali e ambientali di cui dispongono le aree marginali». 

«La Sicilia, in questo contesto, è una delle regioni italiane con maggiori difficoltà, sia perché rappresenta storicamente un territorio con maggiore ritardo di sviluppo del Mezzogiorno, sia perché le sue aree marginali sono particolarmente fragili – ha evidenziato il docente -. Ad esempio le aree interne di Caltanissetta e Enna o le aree di montagna delle Madonie dei Nebrodi sono molto lontane dai servizi e vivono fenomeni di spopolamento piuttosto accentuato così come presentano un importante invecchiamento della popolazione e forti migrazioni dei giovani verso il Nord e l’estero. Da sottolineare che a migrare sono in particolar modo i giovani da inquadrare sia come forza lavoro, sia i laureati negli ultimi anni».

A seguire è intervenuto il prof. Fausto Carmelo Nigrelli, presidente della Struttura didattica speciale di Siracusa in Architettura e Patrimonio culturale. «La presentazione del Rapporto a Catania permette a studiosi di diverse discipline di confrontarsi su un tema centrale come quello delle aree interne – ha spiegato -. Il collasso demografico di cui si parla in realtà è molto territorializzato e soprattutto è concentrato al Sud e nelle aree interne. Quindi per fare ripartire la natalità in Italia non si deve puntare alle grandi metropoli, ma alle aree interne e al Mezzogiorno».

Un momento dell'intervento del prof. Fausto Carmelo Nigrelli

Un momento dell'intervento del prof. Fausto Carmelo Nigrelli. Al tavolo anche i docenti Teresa Graziano, Francesco Martinico e Maurizio Avola

«La Sicilia, da questo punto di vista, è messa male perché nelle previsioni Istat proiettate al 2043, che sono particolarmente affidabili, tra le tre province che perderanno più abitanti figurano Enna e Caltanissetta che registreranno una perdita del 20% di abitanti in 18 anni – ha spiegato -. Complessivamente la Sicilia perderà il 15% di abitanti in pochissimo tempo. Perderemo prevalentemente giovani e anche i genitori che seguono i figli».

«Questo significa che la situazione è davvero drammatica e credo che nell’agenda politica di oggi, di qualunque schieramento, il primo tema all’ordine del giorno dovrebbe essere la denatalità interpretato non in maniera pigra soffermandosi sul fatto che si fanno pochi figli perché c’è poco lavoro per le donne o perché ci sono pochi asili nido, il che è vero – ha aggiunto -. Il vero problema è che metà del territorio italiano si sta svuotando, desertificando da un punto di vista demografico e da lì si deve ripartire».

Francesco Martinico, ordinario di Urbanistica al Dipartimento di Agricoltura Alimentazione e Ambiente, si è soffermato sul «sistema insediativo e sulle sue eccedenze ovvero su quei centri minori che hanno spesso una dotazione di spazi costruiti che ormai non corrisponde più alla necessità a causa dello spopolamento». 

«Questo può essere un problema o una opportunità, dipende da come si riorganizza il futuro di questi centri che possono diventare un’alternativa alle città congestionate – ha aggiunto -. Non può valere per tutti i centri, ovviamente, basti pensare a quelli decisamente più remoti o isolati che sicuramente soffrono di più questa condizione. Nell’ambito di un processo complessivo di riorganizzazione del territorio, però, puntando sui trasporti e sui servizi, è possibile rendere questi posti attrattivi e vivibili».

«In Sicilia la situazione è terribile perché le zone interne sono spopolatissime e questo processo è in continua accelerazione – ha precisato -. Dai dati sulla performance demografica di alcuni comuni appare chiaro che la situazione è in continuo peggioramento. È una situazione di grave rischio per il futuro del sistema insediativo. Un territorio vuoto senza popolazione entra in crisi con conseguenze per l’ambiente, del rischio idrogeologico».

Il pubblico presenti nell'aula magna del Palazzo centrale

Il pubblico presenti nell'aula magna del Palazzo centrale

«Occorre intervenire, non tanto con politiche nataliste, perché non funzionano e non invertiranno questa tendenza a breve termine, ma partendo dalla dotazione di spazi già costruiti che possono essere rigenerati - ha spiegato -. Questo può contribuire a  contenere la riduzione della popolazione ma richiede un investimento importante di risorse pubbliche. C’è qualche tentativo come la Strategia Nazionale per le Aree Interne o il Pnrr, ma si tratta di azioni palliative rispetto alla rilevanza del problema che dovrà essere affrontato».

In precedenza erano intervenuti il rettore dell'Università di Catania, Francesco Priolo, il direttore del Di3A Mario D'Amico e la direttrice del Dsps Pinella di Gregorio. E, inoltre, il direttore del centro di ricerca Unict Progeo Luigi Scrofani insieme con Veronica Leone, presidente Ordine Architetti, Pianificatori, Paesaggisti, Conservatori della provincia di Catania, e Mariagrazia Leonardi, presidente IN/Arch Sicilia.

«Lo studio sulle geografie delle aree marginali è un campo interdisciplinari che coinvolge geografi, architetti, ingegneri, agronomi, economisti, sociologi – ha detto il rettore Francesco Priolo -. Le università, e in particolare il nostro ateneo, sono del territorio e quindi devono lavorare per il suo sviluppo. Il Siciliae Studium Generale è nato proprio come università della Sicilia per formare giovani e professionisti e per incidere sulla ricerca, sull’innovazione e sulla terza missione. E quest’ultima missione degli atenei è sempre più fondamentale per una università del territorio come la nostra».

«Abbiamo un forte legame col territorio e noi stiamo incidendo profondamente – ha aggiunto alla presenza della prorettrice Francesca Longo -. Noi ad esempio ci sviluppiamo su tre territori e agiamo con lavori di rigenerazione urbana e collaborazione con i Comuni. Il territorio necessita del nostro supporto e Unict è impegnata in questo e non rinunceremo mai a svolgere questo compito».

A seguire il prof. Mario D’Amico, direttore del Dipartimento di Agricoltura Alimentazione e Ambiente, ha evidenziato come «l’Università di Catania, e il Di3A in particolar modo, da tempo si occupa di sociologia rurale, politiche agrarie e in particolare le aree interne». «Partendo dalla dualità tra rurale e urbano e come nel corso del tempo si sono sviluppate sono temi fondamentali oggi tra contraddizioni e fenomeni evolutivi possono dare sviluppo ad alcuni territori – ha aggiunto -. Il tema della economia urbana e della competizione tra aree vicine è fondamentale oggi».

Un momento dell'intervento del rettore Francesco Priolo

Un momento dell'intervento del rettore Francesco Priolo 

Per la prof.ssa Pinella Di Gregorio, direttrice del Dipartimento di Scienze politiche e sociali, «le discipline politiche e sociali, soprattutto oggi, tra instabilità e transizioni, trovano un punto di riferimento nella geografia che deve dare risposte su nuovi assetti territoriali e politici e, inoltre, sulle frontiere, intese come materiali e immateriali, da cui transitano persone, risorse e idee e valori».

«La Società Geografica Italiana – ha aggiunto - storicamente è stata capace di rispecchiare e realizzare questa missione scientifica e lo conferma il Rapporto dedicato alle aree marginali che sono al centro di numerose riflessioni tra tutte le discipline inter e multidisciplinare coinvolgendo chi vive nelle periferie e nelle aree interne oggi oggetto sempre più di ricerche e dibattiti».

«La nostra Penisola, e l’intero bacino Mediterraneo, ha rappresentato l’area di intervento strategico della Società geografica fin dalla sua fondazione del 1867 con l’obiettivo di favorire l’integrazione sociale, culturale, economica e politica del Paese appena nato nel 1861 e proiettando lo Stato nell’agone internazionale. La nazionalizzazione e internazionalizzazione sono stati i capisaldi e valori fondanti della Società geografica italiana», ha specificato la direttrice del Dsps.

«La Società geografica, quindi, è stata una agenzia di nazionalizzazione dello Stato italiano che, grazie alle esplorazioni, al turismo e agli interventi emergenziali all’indomani delle catastrofi naturali, ha rafforzato la solidarietà e l’integrazione tra i diversi territori della penisola, nonché tra i suoi abitanti e le istituzioni culturali», ha detto in chiusura di intervento la prof.ssa Pinella Di Gregorio.

Un momento dell'intervento della prof.ssa Pinella Di Gregorio

Un momento dell'intervento della prof.ssa Pinella Di Gregorio

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