Ad illustrarla l’accademico dei Lincei Antonio Sgamellotti, la docente Germana Barone e il tecnologo e curatore Marco Nicola
Usato per affreschi, statue, mosaici e ceramiche, è stato associato anche al sacro, al cielo e agli dèi. Con la caduta dell’Impero Romano se ne persero le tracce e venne sostituito da pigmenti più reperibili come l’azzurrite o il costosissimo lapislazzuli. Solo in epoca Rinascimentale, e in particolare nell’affresco Il trionfo di Galatea di Raffaello, riappare, ma senza che se ne conoscesse più la composizione. Le sue caratteristiche chimiche verranno chiarite solo nell’Ottocento, grazie agli studi archeologici e alla nascente chimica dei materiali.
È il blu egizio, un colore affascinante, il primo pigmento artificiale della storia, creato oltre 3.000 anni fa da antichi egizi. E a questo colore è stata dedicata la mostra Ultrasky. Alla scoperta del blu egizio dalle Arti alle Scienze che ha aperto i battenti nei giorni scorsi nei locali del Museo dei saperi e delle Mirabilie Siciliane al Palazzo centrale dell’Università di Catania (visitabile fino al 2 settembre).
La mostra Ultrasky – approdata a Catania dopo le tappe di Pisa, Priverno e Ninfa - racconta la storia del blu egizio e ne mette in luce la sua attualità, nata dall’idea di unire scienza e arte. All’interno del percorso espositivo si trovano opere inedite di nove artisti contemporanei che sono stati invitati a lavorare con il pigmento in vari linguaggi: Viola Alpi con la moda, CaCO3 con il mosaico moderno, Andrea Chidichimo con la pittura, Stefano Conticelli con le installazioni, Giuliano Giuman con il vetro, Kamilia Kard con l’arte digitale, Matteo Peducci con la scultura, Erica Tamborini con le arti plastiche, installazioni e performance e, inoltre, Franco Vitelli con l’intarsio cosmatesco.
L’allestimento (vai all'articolo dedicato alle opere esposte) propone anche l’utilizzo di speciali visori che permettono di vedere il blu egizio nelle opere nella sua emissione infrarossa, invisibile a occhio nudo, svelando scritte e particolari nascosti.

Composizione chimica di blu egizio
Questo antico materiale, recentemente ricreato in laboratorio da un gruppo di scienziati internazionali, ha suscitato un nuovo interesse nel mondo accademico e tecnologico grazie alle sue straordinarie proprietà ottiche, funzionali e sostenibili. Oggi il blu egizio è al centro di ricerche avanzate che ne esplorano le potenziali applicazioni in diversi ambiti: dalla produzione di energia alla sensoristica, dalla medicina alla bioedilizia. In particolare, le sue caratteristiche lo rendono protagonista del progetto Bluenet, una rete internazionale di ricerca che studia in modo approfondito il pigmento dal punto di vista scientifico e tecnologico.
Le ricerche condotte dall’Università di Catania sono mirate ad esempio all’identificazione dei materiali e delle tecniche esecutive di reperti archeologici e opere d’arte, alla loro autenticazione, e allo studio di problematiche conservative attraverso l’impiego di tecniche analitiche di tipo chimico, fisico e minero-petrografico.
Tra i materiali studiati vi sono i pigmenti utilizzati in diverse epoche su diversi tipi di supporti. L’identificazione del blu egizio da parte della ricerca catanese è stata fatta nella Sala della Sfinge all'interno della Domus Aurea a Roma, al Museo del Palatino di Roma, nelle tombe etrusche di Tarquinia.
Le ricerche dell’Università di Catania sono state condotte da Germana Barone, Paolo Mazzoleni, Maura Fugazzotto, Maria Cristina Caggiani, Alessia Coccato et alii.

Blu egizio
L’allestimento è stato curato in sinergia tra il team di Ultrasky e l’Università di Catania, sotto il coordinamento della professoressa Germana Barone, delegata del Sistema museale d’Ateneo e direttrice del Museo dei Saperi e delle Mirabilia siciliane.
«È stato fatto davvero un lavoro splendido – ha detto il prof. Antonio Sgamellotti, accademico dei Lincei – e grazie a loro, e agli artisti che hanno messo a disposizione le loro opere, possiamo assistere a questa mostra». «È una mostra un po’ particolare, è una mostra in progress, una mostra di ricerca. Infatti, ci sono installate opere diverse. In tutto ciò è molto importante la sede scelta durante le varie esposizioni – aggiunge Sgamellotti – che fino ad ora sono state sedi completamente diverse tra loro. E ora siamo in questa magnifica sede che è il museo del Palazzo centrale dell’Università di Catania»
Il professor Sgamellotti ha sottolineato un legame storico e simbolico tra il pigmento e la Sicilia, menzionando la leggenda di Aci e Galatea, ricordata nell’affresco di Raffaello: Galatea era innamorata del giovane pastore Aci, ma a desiderarla era anche il ciclope Polifemo. Galatea e Aci si amavano in segreto. Polifemo, accecato dalla gelosia e preso dall’ira, vedendo i due innamorati abbracciati, uccise Aci schiacciandolo con un masso dell’Etna. Secondo la leggenda, Galatea, addolorata, trasformò il sangue del suo amato nel fiume Aci, perché potesse continuare a scorrere verso di lei, che viveva nel mare.
«Questa mostra, dopo Catania, continuerà il suo giro d’Italia, che andrà ad esempio a Genova, Torino e Napoli – conclude il professore –. È bella l’idea del passaggio di testimone, dall’Università di Catania a quella di Genova, per esempio».

Il rettore Francesco Priolo e la prof.ssa Germana Barone. In video collegamento l'accademico dei Lincei Antonio Sgamellotti
Sulla mostra è intervenuta la prof.ssa Germana Barone, delegata al Sistema museale d’ateneo.
Qual è stato il contributo dell’Università di Catania e del Museo dei saperi e delle Mirabilie siciliane a un progetto come Ultrasky?
«Il nostro contributo è stato, da una parte, un'attività di coordinamento, di museografia, di ricerca dell'allestimento migliore per valorizzare le opere – racconta la professoressa Barone –. Abbiamo contribuito così anche dal punto di vista tecnico. E dall'altra ci accomuna questa mostra perché abbiamo anche noi fatto delle ricerche scientifiche e quindi negli anni abbiamo pubblicato diversi articoli, su riviste anche internazionali dove abbiamo trovato esattamente il blu egizio. Quindi di fatto abbiamo fatto in parallelo lo stesso percorso noi qui a Catania e il professore Sgamellotti presso la sua sede. Nelle nostre attività di ricerca abbiamo trovato il blu egizio e così lo raccontiamo nella prima sala della didattica, nella Sala della Sfinge della Domus Aurea a Roma, al museo del Palatino di Roma, nelle tombe etrusche di Tarquinia. E lo abbiamo fatto grazie a delle strumentazioni portatili, quindi strumentazioni che non prevedono il campionamento del materiale, ma analisi che si chiamano “in situ”, cioè senza prelevare il campione».
«E poi ci accomuna un altro aspetto – continua la professoressa – l'aver prodotto il blu egizio. Abbiamo recentemente, nel 2025, prodotto il blu egizio in laboratorio, ed è la stessa cosa che hanno fatto loro come gruppo del professore Sgamellotti. Il passaggio successivo che hanno fatto loro è che questa produzione moderna poi l'hanno data agli artisti, che hanno prodotto con il blu egizio le diverse opere, in vetro, in ceramica, in mosaico, nella plastica, nell'abbigliamento, e quindi il nostro contributo è nel raccontare l'importanza della ricerca scientifica che Unict fa in questo ambito, ambito dei beni culturali in generale, e lo fa mettendo insieme ricerche di geologia, chimica, fisica, biologia, storia dell'arte, archeologia, architettura. Sono delle attività che facciamo, e questa mostra ci permette di raccontare anche le nostre ricerche, insieme a quelle che fanno altri gruppi di rilievo e di livello internazionale, con cui noi collaboriamo anche da tanti anni».
Ha un valore importante per la città di Catania ospitare una mostra così multidisciplinare?
«Ha un valore molto importante proprio per questo, perché l'approccio multidisciplinare abbiamo capito essere quello fondamentale per la comprensione delle cose, quindi mettere insieme la parte umanistica con la parte scientifica, una a fianco dell'altra – ha aggiunto -. Diamo così la possibilità alla città di visitare una mostra gratuitamente, con l'occasione di vedere anche la parte del Museo dei Saperi dell'Immigrazione Siciliana con il nuovo allestimento, che abbiamo appena inaugurato, dove c'è un percorso nella logica dell'accessibilità, dell'inclusione, quindi un percorso veramente per tutte e tutti».

Intarsio Cosmatesco di Franco Vitelli
Sulla mostra è intervenuto anche Marco Nicola, tecnologo e curatore che racconta la mostra e le opere esposte
Com’è nato il progetto ULTRASKY e come avete scelto gli artisti coinvolti?
«Il progetto Ultrasky è nato in modo abbastanza spontaneo, una sera chiacchieravo con il critico d'arte Orlando Bellini, che è il terzo curatore insieme a Sgamellotti, con cui io già lavoravo su altre cose, e abbiamo pensato di fare qualcosa con il blu egizio. Sgamellotti, tra l’altro, aveva già un artista con cui lavorava, Giuliano Giuman, che lavora il vetro, io anche avevo un artista con cui stavo facendo delle cose sulla pittura, Andrea Chidichimo che qua espone, allora chiacchierando nella serata abbiamo pensato di fare una mostra con artisti diversi, ognuno con un'arte diversa, presentarla da qualche parte e abbiamo anche pensato di farla girare», ha spiegato.
«Gli artisti sono sempre gli stessi nove per il percorso di Ultrasky – continua il tecnologo – siamo andati a cercarli fisicamente, tra chi conoscevamo, abbiamo chiesto un po' in giro, qualcuno voleva, qualcuno non se la sentiva. Quando siamo arrivati a nove, abbiamo pensato che era perfetto perché poi più di nove potrebbe diventare anche difficile da gestire, allora ci siamo fermati, poi non è detto che in futuro non ci saranno altri artisti, magari di una nuova ondata di blu egizio, però saranno questi gli antesignani che hanno creato questa prima idea di percorso.»
Come hanno accolto questi artisti la proposta di sperimentare con il blu egizio?
«Noi abbiamo chiesto agli artisti se gli andava di provare a lavorarci, e loro hanno aderito entusiasticamente, abbiamo fatto degli incontri preparatori di approfondimento per più di un anno, su cos'è il blu egizio, come pratica, perché ogni tecnica artistica ha le sue problematiche, quindi c'è stato un momento di accrescimento per tutti gli artisti che poi dopo, alla fine di questi workshop, hanno prodotto le prime tre opere ciascuno che sono state poi al centro della mostra di Pisa, la prima mostra, poi è un work in progress», ha spiegato.
«Una delle chiavi di questa mostra è la differenziazione, a noi piace scompigliare le carte, fare cose sempre diverse, per noi l'eterogeneità è una grande ricchezza – ha detto -. Noi vogliamo andare a verificare quanto questo materiale può essere versatile, proprio in contesti diversi, in modi diversi, sia come lo presenti, sia come lo usi».
Durante l’esposizione della mostra, parlava del fatto che il blu egizio può essere usato in sostituzione di altri materiali. Come funziona?
«Sì, ad esempio si può usare negli LSC, cioè nei pannelli fotovoltaici di nuova generazione; può essere usato per sostituire il cadmio, che è un metallo tossico e tra l'altro ha anche problemi di approvvigionamento; poi invece come pigmento blu può essere utilizzato per sostituire il blu di cobalto, che è anche tossico, inoltre, ha anche dei grossissimi problemi di approvvigionamento, infatti il produttore principale del mondo è la Repubblica Democratica del Congo, che produce circa l'80% della produzione mondiale di cobalto ma fatta in modo assolutamente non etico», ha aggiunto.

In foto Marco Nicola